Il
ritorno del sessismo
Natasha
Walter
Traduzione: Laura Bianchetto
Uscita: 20
febbraio 2012
Pagine: 342
ISBN 978-88-6310-377-9
Prezzo:
€ 18,00
Ragazze
che si prendono a spinte per avere l'onore di apparire, seminude, sulle
copertine delle riviste per soli uomini; aumento di nightclub a luci rosse,
emancipazione femminile coincidente con la tolleranza per immagini sempre più
hard, con le quali identificarsi: è davvero scomparso, o almeno attenuato, il
sessismo che denunciavano le femministe negli anni Settanta?
O non ci troviamo, piuttosto, di fronte ad una nuova ondata, più potente, perché apparentemente presentata come una forma della libertà delle donne, di discriminazione femminile? Dopo il successo e le polemiche che hanno accolto The new Feminism, pubblicato nel 1998, in cui l'autrice si diceva convinta che ormai la parità fosse un obiettivo facilmente raggiungibile, Natasha Walter torna a riflettere sui modelli e gli stereotipi di genere con cui le donne si trovano a fare i conti, miti maschili della bellezza femminile, patinata in figure di principesse superdotate o esplicitata in corpi provocanti e disponibili: sempre e comunque, bambole per il desiderio dell'altro.
O non ci troviamo, piuttosto, di fronte ad una nuova ondata, più potente, perché apparentemente presentata come una forma della libertà delle donne, di discriminazione femminile? Dopo il successo e le polemiche che hanno accolto The new Feminism, pubblicato nel 1998, in cui l'autrice si diceva convinta che ormai la parità fosse un obiettivo facilmente raggiungibile, Natasha Walter torna a riflettere sui modelli e gli stereotipi di genere con cui le donne si trovano a fare i conti, miti maschili della bellezza femminile, patinata in figure di principesse superdotate o esplicitata in corpi provocanti e disponibili: sempre e comunque, bambole per il desiderio dell'altro.
*Le mie recensioni*
Ancor
prima di iniziare a parlare di questo saggio, occorre fare una precisazione
circa ciò che s’intende col termine “femminismo”. La stessa Natasha Walter,
infatti, nel 1998 pubblicava il saggio The New Feminism che spiegava il
significato assunto ai giorni nostri da un termine che ai più apparirà desueto,
anacronistico, in un certo senso persino “da bacchettoni”. Si tratta di una di
quelle parole che più di altre si caricano di significati e valenze molteplici,
spesso diverse tra loro, molte delle quali non hanno alcuna attinenza con il
reale significato del termine. Oggi con il termine “femminismo” – o “nuovo
femminismo”, dal momento che dagli anni Settanta sono fortunatamente cambiate
moltissime cose, al punto che per molta gente questo movimento non ha più
ragione d’esistere – spesso si identifica una minoranza di donne convinte di
vivere in una società sostanzialmente fallocentrica, per le quali la lotta per
i diritti coincide con la lotta contro gli uomini, accusati di relegare le
donne in una posizione subordinata; per altri, ancora, le donne che si
definiscono femministe altro non sono se non zitelle arrabbiate col mondo e
incapaci di instaurare relazioni costruttive con l’altro sesso. Natasha Walter,
giornalista e scrittrice inglese, nonché moderna femminista, e molte sue
colleghe (Naomi Wolf e Arial Levy, per citarne alcune tra le più famose) ci
dimostrano prima di tutto quanto antiquate ed errate siano queste concezioni di
femminismo. Posto, infatti, che le donne negli ultimi decenni hanno fatto
conquiste considerevoli, dal diritto di voto al quello all’aborto, passando per
l’accesso a tutti i tipi di lavori, anche quelli tradizionalmente ritenuti
maschili, fino a raggiungere realmente una parità di diritti con l’uomo, queste
studiose mettono in evidenza come molto spesso però questi diritti siano tali
solo sulla carta, perché nella realtà dei fatti e nella mentalità comune molto
ancora deve essere fatto perché la parità tra uomini e donne si realizzi
concretamente... (continua a leggere su La bottega di Hamlin)
***
Qualcuno
certamente storcerà il naso di fronte all’ennesimo saggio definito piuttosto
superficialmente “femminista”, pensando che proprio non ce n’era bisogno, che
le donne ormai la fantomatica parità l’hanno raggiunta da un pezzo e che anziché
lamentarsi farebbero bene a tirarsi su le maniche e a darsi da fare come gli
uomini fanno da sempre. Da attivista “femminista” (metto il termine tra virgolette
perché proprio non mi piace, successivamente spiegherò il perché) e da
sociologa che si occupa sempre più spesso di questioni femminili, cose del
genere me le sento dire quasi ogni giorno. Perché in questa nostra società così
tecnologica, così veloce e superficiale, dove apparenza e immagine sono l’essenza
stessa del potere, reale o presunto che sia, ogni riflessione più profonda è
nient’altro che una perdita di tempo, un fastidioso e opportunistico tentativo
di sottrarsi all’ininterrotta produzione di merci, di senso, di significati
funzionali a un regime capitalista che appunto non tollera perdite di tempo,
perché il tempo è denaro, si sa. Il denaro conta, le menate intellettuali – per
giunta pseudo-femministe – no. Per cui, che bisogno c’è di parlare ancora della
condizione femminile? Che bisogno c’è di un altro saggio che in fondo ripete
cose già dette? Sgomberando il campo da eventuali dubbi, avendo letto con
attenzione il saggio Bambole viventi della giornalista e scrittrice inglese
Natasha Walter, posso affermare che finora nessun saggio sul genere è stato mai
scritto con la stessa chiarezza, e nessuna autrice ha saputo esporre così
limpidamente tesi plausibili e al tempo stesso inquietanti, motivandole punto
per punto, senza lasciare spazio a speculazioni superflue e a inutili retoriche
“femministe”. A questo punto occorrerebbe forse fare una piccola digressione
circa il reale significa del termine “femminismo”, tra i più abusati e spesso
fraintesi. Ormai,
infatti, questo termine ha assunto una molteplicità di significati, che vanno
da una sorta di teoria sovversiva volta a stravolgere l’ordine sociale fondato
sulla subordinazione del sesso femminile a quello maschile, all’idea
nazional-popolare delle femministe viste come un gruppo di zitelle inacidite
moralizzatrici dei costumi e incapaci di rapportarsi in maniera costruttiva con
l’altro sesso... (continua a leggere su Sul Romanzo)
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