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martedì 16 settembre 2014

BELLEZZA PERDUTA (racconto)


Soffiai forte sulle unghie laccate di rosso ciliegia.
Fuori albeggiava mentre io mi raggomitolavo nel piumone, slogandomi la mandibola a furia di sbadigliare e aspettando pazientemente di poter infilare anche l’altra mano sotto le coperte.
Non so chi mi abbia messo in testa che cose tipo mettersi lo smalto o bere una tisana vadano fatte rigorosamente prima di andare a letto, sta di fatto che crollasse il mondo fin da bambina mi sono sempre attenuta rigidamente alla regola: tisana, spazzolino, smalto, un vecchio film sentimentale e una bella dormita.
Stavo per scivolare in un sogno che prometteva bene – la prosecuzione dei miei pensieri a luci rosse sul giovane fattorino che mi consegnava la spesa a domicilio – quando il telefono iniziò a strillare quel suo driin sempre uguale, fatto apposta per entranti direttamente nel cervello.
A chi diavolo poteva venire in mente di cercarmi a quell’ora? Imprecai in molte lingue mentre incespicavo verso l’apparecchio.
«Sii?» sbottai, decisamente poco cordiale.
Una parola fuori posto e avrei messo giù.
«Buongiorno, parlo con la signorina… Valenziani?»
Esitai un attimo prima di rispondere, mio malgrado intimidita da quella voce sconosciuta che aveva pronunciato il mio nome con elegante lentezza e un impercettibile accento straniero.
«Sono io. Chi mi cerca?»
«Lavinia Coraini, avvocato. Andrò subito al punto, per non importunarla ulteriormente qualora la mia proposta non la interessasse.»
Fece una pausa e io non replicai, limitandomi a fare due più due.
Nel mio caso una proposta poteva significare una cosa sola: soldi. Perché mai non avrebbe dovuto interessarmi?
«Un mio cliente desidera averla per sé durante il suo soggiorno in città. Alloggerete presso una suite dell’hotel Continental, e il suo onorario le sarà anticipato previa firma di un contratto, con il quale lei si impegnerà a rimanere con lui per tutti e tre i giorni…»
«Hey, rallenta!» esclamai.
Onorario? Contratto? Ma con chi credeva di aver a che fare quell’avvocato, con un socio in affari?
L’unica cosa che mi era rimasta impressa del suo discorso era l’hotel Continental. Quello si che era un hotel!
C’era stata giusto un paio di volte, con dei clienti occasionali ricchi quanto bastava per permettersi una singola senza servizio in camera, ed ero quasi impazzita circondata da tutto quel lusso… Voglio dire, chi ci crederebbe mai che ti lascino usare certi accappatoi che sembrano di velluto da quanto sono morbidi?
Per non parlare delle lenzuola.
Pura seta, potrei giurarci.
«C’è qualcosa che non le è chiaro? Il mio cliente non vuole rivelare il suo vero nome, per ovvie questioni di privacy, ma garantisco personalmente che non ci saranno sorprese sgradite. Non ha gusti particolari. Niente sadomaso né orge né violenza. Se accetta, il suo compenso orario sarà di…»
Quasi boccheggiai udendo una cifra che se andava bene riuscivo a guadagnare in una settimana di lavoro a tempo pieno. Dov’era l’inghippo?
«Pagamento anticipato?» chiesi.
«Certo. È interessata?»
Se ero interessata? Che diamine, era come chiedere a un bambino se anziché andare a scuola gli sarebbe piaciuto fare un giro al luna-park!
«Quando e dove?»
«Si presenti domani sera alle sette nella hall dell’hotel. Il portiere è informato di ogni cosa, le consegnerà l’assegno e le farà firmare il contratto, poi tutto ciò che dovrà fare sarà andare in camera a farsi bella.»
«Domani? Non è possibile, ho bisogno di almeno…»
Click.
Me ne stetti lì per un minuto buono ad ascoltare il monotono tu-tu-tu dell’apparecchio, riflettendo sul da farsi.

***

Il portiere mi fece segno di seguirlo oltre una porta nascosta dietro un elegante separé in canapa.
La hall era piena di gente, fattorini in livrea si affaccendavano col sorriso sulle labbra per servire un gran numero di ospiti in arrivo, la maggior parte dei quali avevano da un pezzo passato la giovinezza e ostentavano l’aria di annoiati uomini d’affari in trasferta.
Al mio passaggio vidi più di una testa voltarsi a guardarmi e ne fui piacevolmente sorpresa.