clicca sulla copertina per entrare nel mondo dei miei libri


domenica 31 luglio 2011

"La donna nel frigo" - Gunnar Staalesen

Titolo: La donna nel frigo
Autore: Gunnar Staalesen
Editore: Iperborea, 2011
Traduzione di: Pierina Maria Marocco
Pagine: 198
Prezzo: 15.50 euro
Nazione: Norvegia
ISBN: 9788870914085


Petrolio e sangue nella nuova indagine di Varg Veum. Le piattaforme che di notte luccicano come diamanti di fronte alla costa norvegese hanno trasformato Stavanger in un Eldorado per affaristi e sfruttatori di ogni sorta. 
È in questa antica cittadina di pescatori che ha venduto l'anima ai signori del cemento e dei locali notturni che il detective di Bergen approda per ritrovare Arne Samuelsen, tecnico di una compagnia americana scomparso senza lasciare traccia. Niente di strano, un'indagine di routine, finchè Varg non perquisisce la casa del giovane e apre lo sportello del frigorifero. 
Il mistero si tinge di sangue, ogni pista conduce a una cortina di omertà, e a complicare le cose a quell'inguaribile romantico di Varg ci si mette la languida Elsa, prostituta d'alto bordo abituata a giocare con il fuoco. 
Ma è impossibile non scottarsi in una società snaturata dal denaro facile, in cui il vizio è un lucroso business, e tutto, anche la vita, ha un prezzo.

Gunnar Staalesen è nato a Bergen nel 1947. Considerato il padre del giallo norvegese, dalla sua penna è nato il famoso personaggio di Varg Veum, il detective più emblematico del noir nordico, che con i suoi conflitti interiori, la sua scanzonata ironia, e il suo contrastato rapporto con le donne e la bottiglia, esplora le ferite e i vizi della società. Dei quindici romanzi della serie, tradotti in altrettante lingue e adattati per il piccolo e il grande schermo, Iperborea ha già pubblicato Satelliti della morte, Tuo fino alla morte e La donna nel frigo.


Recensioni

La mia recensione su SoloLibri.it
Iperborea, 2011 - “La donna nel frigo” di Gunnar Staalesen, padre del giallo norvegese, è un romanzo teso e inquieto, ricco di colpi di scena, che non delude nemmeno sul finale, decisamente imprevedibile. Il libro fa parte di una serie che consta di ben quindici romanzi, aventi tutti come protagonista l’investigatore privato Varg Veum, uno dei detective più solitari e scanzonati del thriller scandinavo. 
Testardo fino all’inverosimile, ironico e disincantato, in perenne conflitto con la bottiglia e con l’altro sesso, Veum è l’anti-eroe per eccellenza.
In questo romanzo, il detective dovrà vedersela con una spietata banda di affaristi decisi a tutto pur di proteggere i loschi traffici che hanno come quartier generale la città di Stavanger, arricchitasi improvvisamente grazie al petrolio. È proprio qui, in un paesaggio dominato da luccicanti piattaforme petrolifere ed equivoci locali notturni, che è scomparso nel nulla il giovane Arne Samuelsen, tecnico di una delle più importanti compagnie americane. Messosi sulle tracce dell’uomo per conto dell’anziana madre, Veum si infiltra in un mondo sommerso fatto di bische clandestine, soldi sporchi e prostituzione, dove la vita umana non ha alcun valore e contano solo gli interessi economici. 
Proprio qui conoscerà l’ambigua e bellissima Elsa, prostituta d’alto bordo che sconvolgerà, seppur temporaneamente, la sua vita... (continua a leggere la mia recensione su SoloLibri)

La mia recensione su La bottega di Hamlin.it
La donna nel frigo, del norvegese Gunnar Staalesen, è la lettura estiva per eccellenza, in grado di coniugare un ottimo giallo e un’atmosfera tenebrosa, tesa e gelida come l’inverno norvegese in cui si svolge la vicenda. 
Protagonista – come per gli altri quattordici episodi della serie, di cui Iperborea ha già pubblicato Satelliti della morte e Tuo fino alla morte – è l’investigatore privato Varg Veum, detective sui generis, solitario e imprevedibile, scanzonato e disincantato quanto basta da fiutare subito il pericolo dietro il singolare caso di sparizione su cui sta indagando.
Arne Samuelsen, giovane tecnico di una compagnia petrolifera americana, è scomparso senza lasciare tracce dalla cittadina di Stavanger, nuova Eldorado per affaristi e delinquenti di tutto il mondo, trasferitisi alla ricerca di denaro e divertimento facile. 
Con le sue imponenti piattaforme, che scintillano nella notte come brillanti incastonati sullo specchio d’acqua del Mare del Nord, i suoi locali notturni, i giri di prostituzione d’alto bordo, gli hotel e le bische clandestine, Stavanger sembra aver inghiottito il giovane Samuelsen: nessuno sa nulla di lui, della sua vita apparentemente irreprensibile e del suo misterioso passato... (continua a leggere la mia recensione La bottega di Hamlin)

mercoledì 27 luglio 2011

"Il silenzio del ghiaccio" - Tess Gerritsen

Autore: Tess Gerritsen
Editore: Longanesi
Traduzione: Adria Tissoni
Genere: Thriller
Collana: La Gaja scienza
Pagine: 352
Prezzo: € 18.60
In libreria dal: 19 Maggio 2011
Codice ISBN: 9788830430914




Doveva essere un tranquillo weekend in montagna. Maura Isles ne aveva bisogno più che mai, per staccare un po’ da un lavoro, quello di anatomopatologa, che le ha fatto guadagnare il soprannome di «regina dei morti». E per dimenticare un amore impossibile. Doveva essere un tranquillo weekend e invece va subito tutto storto. La neve comincia a cadere troppo fitta. 
La stradina di montagna diventa indistinguibile. Il navigatore satellitare non funziona, così come i cellulari. Basta un attimo perché l’auto esca di strada. Sopravvissuta all’incidente, Maura si addentra nel nulla per cercare soccorso. Quello che trova, però, ha dell’incredibile e del misterioso. E ha l’odore inconfondibile della morte. Forse, presto, anche della sua. Molto presto. Se per Maura sta per iniziare il peggiore degli incubi, per Jane Rizzoli, detective della polizia di Boston, sta per iniziare la caccia. Perché nonostante Maura sia scomparsa, nonostante le prove evidenti di un destino terribile, Jane non è disposta ad arrendersi. A costo di scoperchiare un segreto orribile e letale



Nata nel 1953, Tess Gerritsen ha studiato Medicina presso l'Università della California di San Francisco. E' scrittrice, violinista, medico, mamma e amante delle patatine fritte! Così si definisce lei nella sua biografia. Ha scritto numerosi romanzi che hanno come protagoniste due donne, il detective Jane Rizzoli e il medico legale Maura Isles.
Proprio perchè la scrittrice lavora in ambito medico, conduce i lettori nelle sale delle autopsie, mostrando ciò che vede lei.




Le mie recensioni

Gloria’s Literary Café
Il silenzio del ghiaccio” di Tess Gerritsen è un ottimo thriller, ben scritto, dalla trama avvincente e originale, che riesce a coinvolgere e sorprendere, risultando però sempre molto credibile. Con le dovute differenze, la Gerritsen può essere considerata una degna erede della regina del giallo di tutti i tempi, Agatha Christie: si diversifica da quest’ultima perché nei romanzi della Gerritsen manca l’aplomb della Christie, la capacità di sorvolare gli aspetti più macabri del delitto per concentrarsi sui caratteri dei personaggi e sulle motivazioni che portano a uccidere; ma non si tratta necessariamente di un difetto. Tess Gerritsen, infatti, anche se approfondisce il modus operandi dell’assassino, le tecniche utilizzate e, soprattutto – essendo una delle sue protagoniste principali un’anatomopatologa – le condizioni in cui vengono ritrovati i cadaveri, può risultare più cruda e per certi versi più macabra; tuttavia questo non le impedisce di dedicare numerose pagine e attenzione alla natura del male, agli intrecci e ai sottili legami che si creano tra i personaggi e che li portano a comportarsi in una determinata maniera. 
È quello che accade anche in “Il silenzio del ghiaccio”: i personaggi, ottimamente caratterizzati, agiscono su uno sfondo estremamente affascinante… (continua a leggere la mia recensione su Gloria's Literary Café)

La bottega di Hamlin
“Il silenzio del ghiaccio”, di Tess Gerritsen, a mio parere è uno dei migliori thriller degli ultimi anni. Mentre le indagini del detective Jane Rizzoli e del medico legale Maura Isles si preparano a sbarcare sugli schermi italiani – dai libri della Gerritsen, infatti, è stata tratta la serie televisiva “Rizzoli & Isles”, in onda in autunno su Mya – la Longanesi pubblica l’ultimo romanzo di quest’autrice così brava da poter essere definita una novella, modernissima (oltre che decisamente più macabra) Agatha Christie. La dottoressa Isles, patologa forense, si trova in Wyoming per un congresso medico. 
In crisi con l’uomo di cui è innamorata, Daniel, sedicente prete cattolico combattuto tra l’amore e la fede, la donna decide di accettare la proposta dell’ex-compagno di college Doug, che la invita a unirsi al suo gruppo per un weekend in montagna. Quando lascia l’albergo, Maura è convinta che la aspettino un paio di giorni tranquilli, fatti di sciate in compagnia e serate da passare accanto al fuoco di un accogliente rifugio; una pausa dalla sua vita complicata, insomma, e l’occasione per fare chiarezza dentro di sé. 
Ma quando il Suburban su cui viaggiano finisce fuori strada durante una tempesta di neve, la donna capisce subito che la situazione è più grave di quanto pensino i suoi compagni di viaggio. Dispersi tra i boschi, nel bel mezzo del nulla, con i cellulari senza campo e la neve alta più di un metro, l’unica possibilità di salvezza è cercare un posto dove passare la notte. 
Le loro speranze vengono esaudite quando, dopo ore di cammino, si imbattono nella strada privata che porta al villaggio di “Verrà il regno”… (continua a leggere la mia recensione su La bottega di Hamlin)

domenica 24 luglio 2011

"Klemens" - Marina Palej


traduzione e cura di Emanuela Bonacorsi
EAN 978-88-6243-086-9
casa editrice: Voland
prezzo 15.00 euro
maggio 2011
pp. 368 




Mike, giovane traduttore pietroburghese ebreo e cosmopolita, scompare lasciando dietro di sé un buco nello specchio e un manoscritto. 
Destinatario ideale delle sue memorie è Klemens, turista tedesco innamorato dell’anima russa e suo occasionale inquilino. Inizialmente accolto con disappunto, il giovane diviene oggetto di una passione divorante, di un sentimento sorretto dalla disperazione, da un’isteria che si rivela fertile per la scrittura. L’amore sofferto di un uomo per un uomo si fa così metafora dell’impossibilità di essere autentici e del desiderio perennemente frustrato dell’altro.

La mia recensione su SoloLibri.net:

“Klemens” di Marina Palej, edito da Voland nel 2011, può essere definito un libro tragicamente e genialmente assurdo. Dopo un prologo che contiene in sé tutti gli elementi di un epilogo, che trascina istantaneamente il lettore nel pieno della vicenda narrata, ecco che la parola va al protagonista incontrastato del libro: Mike, giovane ebreo russo che di mestiere fa il traduttore, padre e marito suo malgrado, come si scoprirà in seguito. Mike è scomparso nel nulla, lasciando come unici ricordi di sé un manoscritto e un numero indefinito di buchi sugli specchi di casa. Nelle prime pagine apprendiamo che la vedova è furiosa e sconvolta, che sta quasi perdendo il senno per via del manoscritto incriminato. Ma che ci sarà mai di così terribile in un mucchio di fogli fittamente scritti?... (continua a leggere su SoloLibri.net)

La mia recensione su La Bottega di Hamlin:

Pubblicato da Voland nella collana “Amazzoni” – tradizionalmente riservata ad autrici femminili dalla scrittura audace e sferzante, «che mira al cuore e al cervello dei lettori» – il romanzo Klemens della pietroburghese Marina Palej assomiglia a una doccia fredda, a un pugno in pieno stomaco che sulle prime lascia il lettore basito, vagamente confuso.
Perché la scrittura della Palej, pur riprendendo a tratti uno stile letterario classico (un flusso di coscienza isterico e disturbante, che rende appieno lo stato d’animo del protagonista), in realtà rompe con ogni tradizione: fortemente simbolica, inarrestabile come un fiume e dall’architettura minuziosamente perfetta come la tela di un ragno, la narrazione ben presto cattura il lettore in un universo parallelo, quello di un giovane traduttore pietroburghese, Mike, scomparso nel nulla. Dietro di sé ha lasciato un manoscritto e diversi buchi negli specchi di casa... (continua a leggere su La Bottega di Hamlin)

giovedì 21 luglio 2011

Memories of an other life

"Eppure adesso la prima cosa che affiora nella mia mente è proprio quel prato tra le montagne. L'odore dell'erba, il vento che portava dentro sè un gelo sottile, il profilo dei monti, l'abbaiare di un cane: sono queste le cose che per prime mi si affacciano in mente. Chiarissime.
Talmente chiare che ho quasi l'impressione, se allungo la mano, di poterne seguire i contorni con le dita ad una ad una.
Ma in questo paesaggio non ci sono figure umane. Non c'è nessuno.
Naoko non appare, io nemmeno. E mi chiedo dove siamo andati a finire noi due. Come è potuto succedere? Dove è andato a finire tutto quello che ci sembrava così prezioso, dov'è lei e dov'è la persona che ero allora, il mio mondo? Ma è inutile, ormai non riesco nemmeno a ricordare facilmente il viso di Naoko. Quello che mi resta è solo lo sfondo: un paesaggio senza figure.

Naturalmente, con un pò di tempo riesco a richiamare alla mente il suo viso.
Ma prima appaiono le sue piccole mani fredde, quei bei capelli lisci così leggeri al tocco, i lobi delle orecchie morbidi e rotondi con sotto un piccolo neo, l'elegante cappotto di cammello che portava spesso d'inverno, quel suo modo di fare una domanda guardando sempre l'altro dritto negli occhi, la voce che a volte tremava per qualche ragione (era come se parlasse su una collina dove soffiava un vento fortissimo). E sole se metto insieme queste immagini, ad una ad una, allora il suo viso mi appare naturalmente, in un soffio. (...).

Però, per ritrovare in questo modo il viso di Naoko, ci vuole un pò di tempo.
E col passare degli anni, il tempo si allunga sempre di più. E' triste ma è così. Mentre prima per ricordarla mi bastavano cinque secondi, i cinque secondi sono diventati dieci, poi trenta, poi un minuto.
Il tempo si è allungato pian piano, come le ombre al tramonto. E mi chiedo se di questo passo alla fine il suo viso non sarà inghiottito dall'oscurità.
Non c'è dubbio che la mia memoria si stia allontanando da Naoko. Proprio come io mi sto allontanando dal ragazzo che ero allora.

Così solo quel paesaggio, il paesaggio di quel prato in ottobre, come la scena chiave di un film, mi ritorna senza fine alla mente.
E quell'immagine continua insistente, in qualche parte di me, a tirarmi dei calci e a gridare: ehi, svegliati! Non vedi che sono ancora qui? Svegliati e sforzati di capire. Di capire cosa ci sto a fare ancora qui. Non è che mi faccia male.
Non provoca nessun dolore. Ogni volta che tira dei calci si sente solo un rumore sordo, un rumore che forse finirà prima o poi anch’esso per scomparire come è scomparso tutto il resto.(…)

Naoko , le mani di nuovo ficcate nelle tasche della giacca, non guardava niente in particolare ma sembrava assorta nei suoi pensieri.
- Ehi, Watanabe, mi vuoi bene?
- Certo – risposi io.
- Ho due favori da chiederti. Puoi ascoltarli?
- Posso ascoltarne anche tre.
Naoko ridendo scosse la testa.
- Due bastano. Il primo è che vorrei che tu capissi quanto apprezzo il fatto che tu sia venuto fin qui a trovarmi. Questo mi ha reso felice, molto… mi ha fatto veramente bene.
- Verrò ancora a trovarti – dissi – E l’altro?
- Vorrei che ti ricordassi di me. Ti ricorderai sempre della mia esistenza, e che sono stata accanto a te in questo momento?
- Certo che me ne ricorderò sempre – risposi.
Restò ferma qualche passo davanti a me, in silenzio, poi riprese a camminare.
- Davvero non ti dimenticherai mai di me? – chiese a voce bassa, quasi in un bisbiglio.
- Non ti dimenticherò mai – dissi – Ma come pensi che potrei dimenticarti?

E invece, inutile negarlo, la memoria si sta allontanando, e ho già dimenticato troppe cose. Nello scrivere seguendo i ricordi come faccio adesso, a volte vengo preso da una terribile angoscia.
All’improvviso mi assale il dubbio di stare perdendo la memoria delle cose più essenziali. Il dubbio è che tutti i miei ricordi più preziosi, accumulati in qualche zona buia del mio corpo, in una specie di limbo della memoria, si stiano trasformando in uina massa fangosa."

(tratto da "Norwegian Wood. Tokyo Blues" di Murakami Haruki)


Non ho mai letto niente che sentissi più profondamente di questo libro. 
La memoria è bastarda, la vita anche. 
Persone che un tempo erano tutto per noi, presto, molto presto, diventano niente, sconosciuti, e non importa quanto bene le conosci, non importa quanto le hai amate, un giorno non saprai più niente di loro e loro niente di te.
E quel volto che era impresso a fuoco nella mente, al punto che bastava chiudere gli occhi per evocarlo più nitidamente che in una fotografia, adesso sta svanendo, i lineamenti si dissolvono come i contorni di un ritratto a tempera su cui sia innavvertitamente caduta dell'acqua, e fatichi a ricordare il colore degli occhi, a capire se certe espressioni appartenevano a lui o a qualcun'altro delle decine di uomini che ha conosciuto negli anni.
Perfino la voce, quella voce che avresti riconosciuto tra mille altre, adesso hai il dubbio che se la sentissi per strada probabilmente nemeno ti volteresti.
La memoria è crudele... è un colabrodo, tiene ciò che le pare seguendo i suoi incomprensibili capricci, il resto lo butta via...
Dicono che si tratti di rimozione, dicono che ciò accada per non farci più male di quello che già ci siam fatti.

Ma esiste niente di più doloroso del perdere i ricordi? 
E' come perdere le persone due volte. 
E lo so anch'io che la vita scorre, che è inevitabile perdere alcune cose, persone, trovarne altre, che se fosse statica non sarebbe vita, però so anche che non tutte le persone riescono ad adattarsi a queste regole. 
Io non riuscirò a legarmi più a nessuno, perchè non potrei mai sopportare un altra fine, piuttosto non inizio niente.
Non è per me, io non sono così, non sono una che si innamora, non sono una che perde la testa, non sono una banderuola purtroppo, non sono una che parla a vanvera, che dice "amore" con facilità. In questo io e Bi ci somigliamo molto.
La facilità dei sentimenti non è per me, per quanto mi sforzi.
Sono una dagli attaccamenti tenaci, che non svaniscono facilmente, ma quando svaniscono dentro lasciano un vuoto che è peggio di un baratro, un buco nero che puoi solo coprire, perchè per colmarlo non basta il resto della vita.
L'ho coperto bene, ma io so che c'è, mi ricorda la sua esistenza ogni volta che vorrei sentire qualcosa e invece sento solo indifferenza.

Quello che mi ha salvata, che mi ha permesso di soffrire relativamente poco rispetto a quanto mi sarei aspettata, al punto che ha stupito anche me, è che in fondo io sono sempre stata tremendamente sola, mi sono sempre sentita sola, con chiunque fossi, e da questo punto di vista non mai è cambiato granchè, in nessun periodo della mia vita. Anzi, credo che la solitudine a due, come la chiama Fromm, sia nettamente peggiore.
Un conto è sentirsi solo in una camera vuota, un conto è sentircisi in un posto affollato di gente....lì non puoi mentire a te stesso, sai che la solitudine è dentro di te e puoi fare ben poco per scacciarla.

Chi mi conosce bene lo sa, io le persone che amo le tormento sempre con la domanda "mi vuoi bene?".
Lo facevo fin da piccolina con mia madre, che arrivava a non poterne più.
Le urlavo "dimmelo, dimmelo, dimmelo!" e se non lo faceva mettevo il muso.
Non so perchè lo faccio. O forse si. Vorrei essere protetta dal male, sapere che quella persona se mi vuol bene non mi abbandonerà, non mi farà soffrire, perchè io per prima dentro di me so che è vero il contrario. Lo so con certezza.
Non so perchè sono cresciuta così male, così fragile.
So solo che ho cominciato a elemosinare amore molto presto, e non ho mai smesso. Fino ad oggi. Ma mi viene il dubbio che ho smesso solo perchè non nutro più l'illusione che ne riceverò.

lunedì 18 luglio 2011

Irène Némirovsky - Il vino della solitudine


Il vino della solitudine
Irène Némirovsky
Adelphi, 2011
pp. 245
ISBN: 9788845925665
Letteratura francese
Traduzione: Laura Frausin Guarino






Trama:
Il vino della solitudine è il più autobiografico e il più personale dei grandi romanzi di Irène Némirovsky: la quale, pochi giorni prima di essere arrestata, stilando l'elenco delle sue opere sul retro del quaderno di Suite francese, accanto a questo titolo scriveva: «Di Irène Némirovsky per Irène Némirovsky». 
Non sarà difficile, in effetti, riconoscere nella piccola Hélène, che siede a tavola dritta e composta per evitare gli aspri rimproveri della madre, la stessa Irène; e nella bella donna che a cena sfoglia le riviste di moda appena arrivate da Parigi in quella noiosa cittadina dell'impero russo – e trascura una figlia poco amata per il giovane cugino, oggetto invece di una furente passione – quella Fanny Némirovsky che ha fatto dell'infanzia di Irène un deserto senza amore. 
Hélène detesta la madre con tutte le sue forze (e si sente morire all'idea di dover posare la bocca su quella guancia che vorrebbe «lacerare con le unghie»), al punto da sostituirne il nome, nelle preghiere serali, con quello dell'amata istitutrice, «con una vaga speranza omicida». 
Verrà un giorno, però, in cui la madre comincerà a invecchiare, e Hélène avrà diciott'anni: accadrà a Parigi, dove la famiglia si è stabilita dopo la guerra e la rivoluzione di ottobre e la fuga attraverso le vaste pianure gelate della Russia e della Finlandia, durante la quale l'adolescente ha avuto per la prima volta «la consapevolezza del suo potere di donna». 
Allora sembrerà giunto alfine per lei il momento della vendetta: «Ti farò piangere come tu hai fatto piangere me!». 
Ma Hélène non è sua madre – e forse sceglierà una strada diversa: quella di una solitudine «aspra e inebriante». Da un'infanzia infelice, diceva Irène Némirovsky, non si guarisce mai: pochi hanno saputo raccontare quell'infelicità come ha fatto lei.

La mia recensione
Appena uscito per Adelphi, Il vino della solitudine di Irène Némirovsky è probabilmente il più bello – oltre che il più autobiografico – dei libri della scrittrice ucraina, naturalizzata francese. 
La storia della piccola e originale Hélène, infatti, ricalca in maniera pressoché perfetta l’adolescenza di Irène, nata in una ricca famiglia dell’alta borghesia ebrea: come il padre di Hélène, anche suo padre era un banchiere dedito ad affari non sempre limpidi e completamente in balia della sua passione per il gioco d’azzardo, amatissimo dalla figlia ma del tutto incapace di mostrarle affetto. 
Per lui, la bambina era né più né meno che una bestiolina domestica, cui riservare quell’affetto semplice e indifferente che non può in alcun modo far fronte ai bisogni emotivi di una ragazzina che si va facendo donna. 
E che dire poi della madre di Hèlene, Bella, ritratto fedele di quella Fanny Némirowsky odiata e temuta, una donna che secondo la scrittrice non sarebbe mai dovuta diventare madre, perché completamente priva del più elementare istinto materno... (continua a leggere su La bottega di Hamlin)

La riscoperta di una scrittrice che fa rivivere un'epoca
Famosissima nei primi decenni del Novecento, dopo il secondo conflitto mondiale Irène Némirovsky fu completamente dimenticata sia dalla Francia – nazione in un cui trascorse gran parte della sua esistenza, che l’aveva celebrata come la sua più grande scrittrice – che dal resto del mondo. 
Irène Némirovsky
Una Francia crudele, che non mostrò alcuna solidarietà per il suo destino di deportata (la Némirovsky, infatti, morì di tifo ad Auschwitz) né per quello di tanti altri ebrei francesi, e che dopo la guerra rimosse ogni ricordo assieme all’insostenibile orrore della guerra.
Nata a Kiev nel 1903 in una famiglia appartenente all’alta borghesia finanziaria (suo padre era un banchiere ebreo), durante l’infanzia Irène riceve un’educazione classica e pochissimo affetto sia da parte della madre – quella Fanny Némirovsky bella e egocentrica, dedita esclusivamente ai divertimenti mondani e agli amanti, che tornerà spessissimo nella produzione letteraria della scrittrice – che da parte del padre, completamente preso dai suoi affari e succube del gioco d’azzardo. Dopo la rivoluzione bolscevica... (continua a leggere lo speciale su SulRomanzo)

venerdì 15 luglio 2011

Solitudine a due

Anni fa un uomo mi disse: "Io non mi innamoro. So come controllare i sentimenti e non affezionarmi troppo a nessuna".
Allora le sue parole mi sembrarono assurde.
Voglio dire, come si fa a impedirsi di voler bene a qualcuno?
Ora invece capisco perfettamente cosa intendeva, e devo ammettere che anche io ho imparato a farlo molto bene.

Basta parlare solo di cose che stanno in superficie e non ci riguardano troppo da vicino, basta non dire quasi mai quello che si pensa realmente, basta tenere nascoste le cose veramente importati e all'occorrenza mentire, basta non farsi domande profonde e non farne all'altro, basta non pretendere risposte o certezze, basta mantenere sempre la giusta distanza emotiva e psicogica e indietreggiare quando l'altro non la rispetta, basta non avere pretese e non assecondare quelle altrui, basta usare il mutismo, l'ironia e le menzogne come armi di difesa... D'altre parte io ho avuto a che fare con un vero maestro in quest'arte.

Insomma: è sufficiente giocare a nascondino e condividere solo quello che non vi renderà meno estranei. 
Il sesso, per esempio, non rende affatto meno estranei.
Perché dovrebbe? Non è che se penetri una donna di conseguenza entri di diritto nella sua anima, o viceversa, non è che se un uomo ti da la chiave per il suo piacere poi ti da anche quella per entrare nella sua vita.
Magari per molti è così, ma secondo me è perché hanno assimilato in maniera del tutto acritica il concetto del "sesso=amore=felicità", senza avere nemmeno una vaga idea di quello che comporta e senza conoscere le profondità che può raggiungere un animo umano... Sennò non si spiegherebbe come mai ci sono donne che si ostinano a credersi innamorate di un buzzurro di cui non sanno praticamente nulla, se non come ha il pisello. O no?

Mi chiedo spesso dov'è la vera intimità, cosa la crea, e le risposte che mi sono data sono ancora indefinite e imprecise.So che il sesso non c'entra, è un qualcosa che può venire come conseguenza, ma non contribuisce a crearla, ne da solo l'illusione.

Un'altra cosa di cui sono certa è che non ci può essere vera intimità se non è voluta da entrambe le parti.
È inutile tentare di espugnare le mura di una fortezza pretendendo di conquistare il tesoro che vi è dentro, perché qualsiasi cosa che sia presa con la forza è persa in partenza.

L'intimità è un dono che ci fa l'altro, al massimo possiamo aspettare che il castellano (o la castellana) decida di buttare giù le mura, aprire il portone del maniero e offrirci il suo tesoro.
C'è il rischio concreto che non lo faccia mai, ma è un rischio che per amore si può correre; ma se diamo l'assalto al castello è guerra, non è amore.

Moltissime fortezze non si apriranno mai, o mai più, ed è un peccato, perché nessuno gioirà dei tesori che vi sono nascosti e allo stesso modo chi è dentro sarà condannato alla solitudine dell'anima, che non c'entra nulla con l'avere mille amici o andare a mille feste o vivere circondato dalla gente.
Che senso ha tutto questo se nessuno ti conosce davvero? La solitudine è quando nessuno capisce quello che provi, nessuno immagina quello che senti e in definitiva nessuno sa chi sei.

Quasi sempre indossiamo maschere per illuderci di essere accettati dagli altri, ma che senso ha essere accettati per quello che non siamo, per quello che fingiamo di essere? Che senso ha cercare consensi a tutti i costi, se per ottenerli dobbiamo fingere, perché se siamo noi stessi probabilmente a quelle persone non piaceremmo?
Ma essere noi stessi espone al rifiuto. Essere rifiutati da chi ci conosce solo superficialmente, e vede di noi solo quello che fingiamo a beneficio della comunità, è un conto; essere rifiutati nel nostro intimo, per quello che siamo davvero, con le nostre paure, le piccole gioie e i desideri, be’… può distruggerti.

Ti chiudi nella fortezza e ti lecchi le ferite, costruisci muri più alti che puoi e decidi che non aprirai più a nessuno. Non donerai più la tua intimità solo per vederla disprezzata e gettata via.

mercoledì 13 luglio 2011

Piccole grandi gioie

la copertina del mio libro
Chi mi conosce sa che non mi piace auto-celebrarmi e che - purtroppo - sono una tipa assurdamente umile. Dico purtroppo perché in parte la mia umiltà deriva da una bassa autostima, ma questa è un'altra storia che probabilmente non interessa a nessuno. 
Tuttavia voglio postare un paio di recensioni/pareri sul mio romanzo "In ricordo di noi": la prima è una recensione che è trovato su Anobii, il secondo il parere di una lettrice del mio vecchio blog, quello anonimo, che parlava della mia vita privata. 
Li posto non per dimostrare che il mio libro "è bello" - può piacere, certo, ma anche no - ma perché mi hanno resa IMMENSAMENTE FELICE... 
Uno scrittore vive per regalare emozioni, e sapere di esserci riuscito è la gioia più grande, soprattutto se le emozioni in questione gli appartengono intimamente...

Ily4da scrive su Anobii:

Questo libro mi ha catturata sin dal primo capoverso. L’ho letto tutto d’un fiato, curiosa di scoprire il seguito degli avvenimenti narrati. I personaggi sono estremamente vivi e reali e raccontano perfettamente la realtà del mondo giovanile di oggi. I sentimenti della protagonista, descritti con profonda intensità, godono di vita propria nelle pagine del romanzo. La storia raccontata poi è tutta un susseguirsi di emozioni e delusioni, spesso velate di tristezza e malinconia, che in realtà descrivono un grande amore, che vive fuori dal mondo. La parte migliore è la fine del romanzo che, come pochi altri libri che ho letto nella mia vita, è riuscita a farmi sentire realmente il dolore dei protagonisti, facendomi commuovere e piangere.

Anna T. scrive su Facebook:

Ho letto “In ricordo di noi”, mi sono data una settimana di tempo per finirlo e invece l'ho fatto in due giorni, non riuscivo a smettere di leggere, come descrivi i personaggi i sentimenti che ne emergono sembra di conoscerli. Non so come hai fatto, ma mi hai fatto rimandare un esame a settembre perchè voelvo finire il libro... ma bello bello bello, l'ho consigliato ai miei amici.
Bravissima!

lunedì 11 luglio 2011

Angelology - Danielle Trussoni


Titolo: Angelology
Autore: Danielle Trussoni
Editore: Nord
ISBN: 9788842916468
Pagine: 520
Prezzo: 18,60


“Gli angelologi esaminarono il corpo. Era intatto, privo di segni di decomposizione, la pelle liscia e bianca come pergamena, i vitrei occhi acquamarina rivolti al cielo. Pallidi boccoli ricadevano sulla fronte alta e sulle spalle scultoree, formando un’aureola di capelli d’oro. Persino le vesti – la stoffa di un lucente filo metallico bianco di cui nessuno era in grado di identificare l’origine – si erano perfettamente conservate. [...] Tutto, nella creatura, era come si aspettavano che fosse; persino la posizione delle ali corrispondeva. Eppure era troppo bella, troppo vitale per corrispondere a ciò che avevano studiato”

La trama
Quando il padre l’aveva affidata alle suore francescane del convento di St. Rose, vicino a New York, Evangeline aveva soltanto dodici anni. In quella pace operosa, la bambina è diventata donna e ha poi scelto di prendere i voti. Adesso si occupa della biblioteca del convento, che ospita un’eccezionale collezione d’immagini angeliche. 
Ma, proprio in quel luogo apparentemente così lontano dai turbamenti del mondo, Evangeline scopre alcune lettere, spedite negli anni ’40 dall’ereditiera Abigail Rockefeller a una suora del St. Rose: in esse vengono citati una misteriosa spedizione nella Gola del Diavolo, in Bulgaria, e il ritrovamento di un cadavere perfettamente conservato. Il cadavere di un angelo. 
Per Evangeline, quelle lettere sono il primo tassello di una storia che affonda le sue radici nella notte dei tempi: la storia degli angeli che hanno tradito Dio e della malvagità che è scesa sulla Terra con un battito d’ali; la storia dei Nefilim, le creature generate dall’unione tra gli angeli ribelli e i mortali; la storia degli angelologi, un gruppo di studiosi che, da generazioni, si tramandano il segreto dell’esistenza dei Nefilim e combattono contro di loro. 
E, soprattutto, la storia di uno strumento musicale di origine divina e dai poteri straordinari, uno strumento andato perduto e che ora Evangeline ha il compito di recuperare, prima che lo facciano i Nefilim. Perché la storia degli angelologi è anche la sua storia, e la loro missione è la sua missione. 
Perché il destino dell’umanità è nelle sue mani.

L’autrice:
Danielle Trussoni è nata a La Crosse (Wisconsin) e si è laureata in Storia e Letteratura Inglese presso l’University of Wisconsin-Madison. Da tempo si è trasferita in Europa, nel sud della Francia, con il marito, lo scrittore Nikolai Grozni, e i due figli. 
Fin da piccolissima, ha desiderato raccontare sia ciò che la circondava sia ciò che la sua straordinaria immaginazione le suggeriva: un sogno che si è avverato nel 2006, con la pubblicazione di Falling Through the Earth, un memoir sulla vita del padre, che è stato acclamato dal New York Times come uno dei migliori libri dell’anno. E lo stesso riconoscimento è stato attribuito ad Angelology, il suo primo romanzo, che è subito diventato un fenomeno editoriale: prima ancora che fosse pubblicato, la Columbia Pictures e la società di produzione di Will Smith si sono aggiudicati i diritti cinematografici, mentre i diritti di traduzione sono stati venduti in 32 Paesi.

La mia recensione su Gloria’s Literary Café
In un mondo letterario che al giorno d’oggi pullula di vampiri e streghe, lupi mannari e inverosimili storie d’amore, la figura dell'angelo rivista in maniera così efficace, completamente diversa dallo stereotipo che noi tutti conosciamo, non può non colpire e incuriosire il lettore. I Nefilim in particolar modo, queste creature dalle sembianze angeliche e il cuore arido, ottuso ed egoista, meritano un posto d’onore nella galleria dei personaggi portati alla ribalta dal genere fantasy... (continua a leggere la mia recensione su Gloria's Literary Café)