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venerdì 6 luglio 2012

Tutti i libri Neri Pozza da portare sotto l'ombrellone...


JEET THAYIL Narcopolis

Bombay, anni Ottanta. Shuklaji Street è un reticolo febbrile di stanze, stanze per il sesso, stanze per Dio, stanze segrete che si riducono di giorno e si espandono di notte. Corre da Grant Road a Bombay Central, e percorrendola a piedi, tra auto, camion, risciò, biciclette, rifiuti, escrementi e poveri che barcollano coperti di stracci, si fa il tour dei luoghi della perdizione della città, i luoghi del piacere e dell’ebbrezza. La croce copta dei cristiani siriani al collo, l’aria di chi è stato rispedito in India dopo essere finito nei guai a New York, Dom Ullis si è rifugiato nel bel mezzo di Shuklaji Street, nella stanza d’oppio di Rashid, la fumeria piú rinomata della strada con le sue autentiche pipe cinesi. Nel locale, pregno dell’odore di melassa, sonno e malattia, si è accolti dal proprietario, braccia e ventre cosí grassi da rendere striminzita ogni camicia.
La fumeria, però, è per ogni habitué innanzi tutto il regno di Dimple. È lei che, scuotendo i capelli che le cadono davanti agli occhi, prepara, con mano esperta ed elegante, le pipe. Quando era appena un ragazzo, Dimple fu condotto in un bordello di Bombay. Gli diedero una sari rossa e del whisky e poi, con l’aiuto di un sottile, tagliente bambú, fecero di lui una splendida hijra, un eunuco. Ha imparato a maneggiare l’oppio e non solo, ha appreso tutto quello che sa della vita, dell’amore e della morte nel khana, nella fumeria di Mr Lee, un ex ufficiale dell’esercito cinese che aveva lasciato a Canton passioni, sventure e fallimenti per aprire a Bombay una fumeria per pochi eletti e rifornirsi di oppio e di cibo – oppio a bizzeffe, naturalmente, e un minimo di cibo.
È il regno anche di una singolare compagnia di oppiomani di paesi e fedi disparate: Newton Pinter Xavier, il pittore il cui senso di colpa cattolico deflagra producendo effetti devastanti: dipinti che grondano sesso, eresia e interpretazioni indiscriminate della psicopatologia della vita quotidiana; Rumi, lo spilungone con il segno castale sulla fronte e il sorriso largo e strafottente; Salim, il borsaiolo alto e segaligno coi capelli da hippy lunghi fino alle spalle; e artisti, filosofi, poeti e prostitute che si immergono nelle loro mirabolanti fantasticherie aspirando oppio.
Con i suoi amanti e ospiti Dimple discute di Dio e del sesso, dell’amore e del significato dell’esistenza, della crudeltà della vita e… del Patar Maar, l’assassino di pietra che gira di notte nei quartieri dei poveri di Bombay e li uccide metodicamente, come un angelo sterminatore che cerca di mettere fine una volta per tutte alla loro miseria.
Accolto entusiasticamente dalla critica e dal pubblico al suo apparire in Inghilterra e negli Stati Uniti, Narcopolis ci offre un ritratto di Bombay che «muterà per sempre la maniera in cui siamo abituati a guardarla» (Hari Kunzru): una multiforme, brulicante metropoli dove la vita pulsa e rivendica i suoi diritti ovunque, nelle strade dei poveri, nei bordelli piú infimi, nei locali amati da artisti e poeti; una città onirica e inquieta in cui un’umanità insaziabile, eccentrica e smodata si svela anche generosa e ricca di poesia e amore.

«Narcopolis è tutto quello che uno si immagina, ma ha quasi timore di dire – droga, fumerie d’oppio, sesso e Bombay al centro di tutto – lo splendore della città e la sua desolazione, i bassifondi e il miscuglio di razze, classi, religione, violenza e morte… Insomma, Narcopolis è un grande libro».
The Hungry Reader

«Tre decenni trascorsi a contemplare Bombay in tutto il suo lussurioso squallore… il vomito, la violenza, il glamour triviale e la terribile bellezza di una città trasformati in qualcosa che si annuncia subito come un vero e proprio classico di culto».
Hindustan Times

«Coinvolgente fino all’estremo e narrato con una febbrile e furiosa necessità, Narcopolis ci offre un mondo che è ad un tempo fantastico e realistico. Jeet Thayil ha scritto un’opera che può trovare posto solo accanto a un Roberto Bolaño».
Alan Warner


«La Bombay di Jeet Thayil è una città onirica dai sogni inquieti… Narcopolis muterà per sempre la maniera in cui siamo abituati a guardarla».
Hari Kunzru

Traduzione dall’inglese di Vincenzo Mingiardi
Euro 16,50
304 pagine
EAN 9788854505117 


PATRICK DEWITT Arrivano i Sister

Herman Kermit Warm morirà. Lo ha deciso il Commodore, personaggio enigmatico e potente di cui nessuno conosce il vero nome. I suoi due scagnozzi, i fratelli Eli e Charlie Sisters, sono come sempre pronti a scattare sull’attenti e a occuparsene. Charlie ama il whisky, e ammazzare qualcuno è una faccenda che non gli dispiace affatto; a Eli accoppare il prossimo, invece, non va tanto a genio, ma nella vita non ha mai saputo fare altro.
Questa volta però la preda è un osso duro. Herman Kermit Warm ha in concessione una miniera d’oro vicino a Sacramento e ha tutta l’aria, stando almeno alle descrizioni del Commodore, di non rinunciare così facilmente alla sua pellaccia. Da Oregon City la via per Sacramento non è, infine, così agevole e vicina. Il viaggio si rivela per i Sisters Brothers una vera e propria odissea che mette a dura prova i cinici principi di Charlie e la sensibilità di Eli. Sulla strada per Sacramento i due fratelli incontrano un uomo che piange senza sosta, una ragazzina intenta ad avvelenare un cane, un gruppo di prostitute truccate e vestite di pizzi e crinoline, una strega, un orso, un indiano morto, una banda di cacciatori di pellicce, un dentista di frontiera che offre una strana e sconosciuta pasta da mettere sui denti per pulirli, una tisica tenutaria d’albergo di cui Eli si innamora perdutamente.
I due temuti killer, il cui nome risuona sinistro nelle valli del West, i Sister Brothers, arrivano a Sacramento così stremati da nutrire dei dubbi sulla loro missione, sul loro committente, il crudele e misterioso Commodore, e persino sui principi che hanno ispirato la loro condotta di vita.
Irresistibilmente comico e commovente insieme, Arrivano i Sister è il romanzo-evento del 2011, l’opera che ha riscosso l’entusiasmo della critica e dei lettori inglesi e americani.

«Sinceramente, non ricordo di essermi mai affezionato così tanto a una coppia di psicopatici».
David Wroblewski

«Una saga di frontiera entusiasmante, comica e, inaspettatamente, commovente».
Publishers Weekly

«DeWitt ha scelto di dar voce a un narratore incredibilmente acuto e originale».
The New York Times

«Se Cormac McCarthy avesse senso dell’umorismo, avrebbe potuto scrivere una storia come questa di Patrick deWitt».
Los Angeles Times

«Originale, divertente, violento ma anche impregnato di malinconia. A rendere il tutto irresistibile è la figura di Eli Sisters, la voce narrante».
Washington Post

Traduzione dall'inglese di Marco Rossari
Euro 17,00
304 pagine
EAN 9788854504738



ZSUZSA BANK I giorni chiari

Ai margini di un villaggio nel sud della Germania degli anni Sessanta, là dove cominciano i campi, c'è una casetta di assi sghembe circondata da un giardino di alberi da frutta. La casa è talmente povera che le porte non hanno serratura e al cancello non c'è nemmeno una cassetta per le lettere. Là abitano Aja e sua madre Évi. Un vecchio cappello giallo in testa sottratto all'armadio della mamma, le mani piccole e i piedi minuti, Aja trascorre gran parte del suo tempo nel giardino. 
Ritta sulle sue lunghe gambe smilze, che sembrano tagliate nel legno, le unghie smaltate fin sopra la pelle, Évi sorveglia la sua bambina mentre con la mano sfiora le lettere di Zigi, suo marito, spedite da qualche remoto angolo del mondo, dove ogni sera si esibisce come trapezista.
Le rare volte in cui Zigi compare al cancello di casa, è una festa. I capelli sulla faccia, i ricci arruffati che se ne vanno in tutte le direzioni, un paio di scarpe scure con il cuoio crepato sui lati che, con le stringhe slacciate, misteriosamente non scappano via, Zigi salta indietro sulle mani e torna sui piedi come se volasse per il giardino di Évi. Allora Aja lo guarda orgogliosa e Seri e Karl, i suoi piccoli amici, sgranano gli occhi per lo stupore.
Ma poi ad Aja non restano che giorni, settimane e mesi in cui di Zigi vi è solo un fascio di disegni tra le tazze del mattino o tra le calze e le camicie riposte nei cassetti.
Anche Seri e Karl, tuttavia, devono fare i conti con mancanze dolorose.
Seri era nata da poco quando sul ponte del traghetto legato a una riva del Neckar, sotto i rami dei salici e nella luce gialla del pomeriggio, suo padre si portò improvvisamente le mani al petto e alla gola e si spense poi tra le braccia di sua madre.
Una tragedia, misteriosa e straziante ha offuscato, invece, l'infanzia di Karl: in una bella giornata di primavera, il suo fratellino è salito sull'auto di uno sconosciuto ed è scomparso nel nulla.
Come per un incanto, la vita in comune dei tre bambini, nell'atmosfera stralunata e idilliaca del villaggio e del giardino di Aja, sembra rimuovere ogni lutto. I giorni chiari e lieti dell'infanzia hanno il sopravvento, e l'esistenza è spensierata sotto lo sguardo amorevole delle madri. I ragazzi si giurano amicizia eterna e si scambiano la promessa di restare per sempre fedeli ai sogni dell'infanzia.
La vita adulta, però, coi suoi compromessi e le sue disillusioni, le sue sconfitte e i suoi lati oscuri, è in agguato. Venti anni dopo, trascorsi gli anni dell'università e un soggiorno comune a Roma, Aja, Seri e Karl si ritrovano nel villaggio della loro infanzia a fare i conti con insospettabili segreti familiari, a lungo gelosamente custoditi, e con inimicizie e tradimenti inaspettati.
I giorni chiari è un grande romanzo che, con uno stile sospeso e struggente, cattura il lettore e lo porta per mano attraverso un mondo incantato.

«Una musica coi mezzi della poesia, una fiaba in forma di romanzo che narra di tre ragazzi scacciati dal paradiso dell'infanzia».
Neue Zürcher Zeitung

Un grande romanzo «amato dai lettori... sull'amicizia e l'amore, la fedeltà e il tradimento, e la fugacità dell'idillio».
Literaturzeitschrift

L'infanzia incantata di Aja, Seri e Karl in un romanzo in cui «è la vita stessa che parla».
Die Zeit

Traduzione dal tedesco di Riccardo Cravero
Euro 18,00
464 pagine
EAN 9788854505681


SARAH QUIGLEY Sinfonia Leningrado

È l’inverno del 1941 a Leningrado. La città è stretta nella morsa dell’esercito tedesco e sembra frantumarsi sotto le granate nemiche. I corpi dei caduti vengono ammassati ai lati della Prospet tiva Nevskij. Le donne ridotte a stecchini arrancano ince spicando fino alla Neva, per attingere acqua attraverso le buche ricavate nel ghiaccio. Ovunque, suoni terribili: lo stridore delle slitte cariche di cadaveri, le terrificanti esplosioni dei candelotti di dinamite impiegati per scavare enormi fosse comuni, l’ululato dei cani e dei gatti randagi uccisi per sfamarsi.
Per le strade della città, dove esseri umani strisciano come spettri in mezzo a mucchi di rifiuti sperando di rimediare qualche avan zo, per poi morire lì dove si trovano, Karl Il’icˇ Eliasberg, il direttore dell’Orchestra Radiofonica di Leningrado, avanza a fatica. È reduce da un incontro con il direttore della radio e con i responsabili del Dipartimento delle Arti. Gli hanno trasmesso un ordine di danov, il segretario del partito che guida la difesa della città, un ordine che non ammette repliche: ricostituire l’Orchestra Radiofonica, sciolta per la morte di buona parte dei suoi componenti e per l’inedia dei musicisti sopravvissuti, per eseguire la Settima Sinfonia che Dmitrij Šostakovicˇ ha appena terminato lontano da Leningrado.
Danov si è già procurato la partitura, arrivata in aereo da Mosca sorvolando le linee nemiche, ed è convinto che, eseguita a Leningrado, dove è stata in gran parte scritta durante i primi mesi dell’assedio, la sinfonia può sollevare il morale non solo della città, ma anche degli uomini al fronte.
Eliasberg è paralizzato dalla paura e dal desiderio. Mai in vita sua gli è stata offerta un’opportunità del genere, e mai la posta è stata così alta. Dirigere la più grande sinfonia che Šostakovicˇ abbia scritto! Un onore che sarebbe certamente toccato a Mravinskij, se il direttore della Filarmonica di Leningrado non avesse, grazie alle sue amicizie altolocate, scavalcato le linee nemiche a bordo di un aereo.
Tuttavia, come portare a termine quel compito così imponente con i pochi musicisti rimasti, stremati dalla fame e con le mani e i piedi tormentati dai geloni, e i volti di un pallore mortale e coperti di piaghe? Come ridestare l’entusiasmo per la grande musica in chi, durante le battute di riposo, mette la testa tra le ginocchia o posa gli strumenti quasi siano di piombo?
Magnifico romanzo che narra di un piccolo eroico gesto – il gesto di un solitario, timido direttore d’orchestra che, con l’aiuto di un violinista e di un gruppo di musicisti straziati dalla fame e dal freddo, riesce a eseguire una Sinfonia che ha avuto un’importanza enorme nella vittoriosa resistenza contro la barbarie nazista – Sinfonia Leningrado mostra come l’arte «possa avere un impatto enorme sugli eventi» (Sunday Star Times).

«La storia della creazione e dell’esecuzione di un capolavoro che è essa stessa un capolavoro».
Nelson Mail

«Un romanzo straordinario, una sinfonia sul potere dell’amore: l’amore per la musica, per la propria casa, per la famiglia, per la propria città; e l’amore di Sarah Quigley per la scrittura. Ogni singola frase contiene tutti questi sentimenti, e al tempo stesso è caratterizzata da un’inattesa e toccante leggerezza d’essere. Un trionfo a ogni livello».
New Zealand Herald Canvas Magazine

«Il nuovo romanzo di Sarah Quigley si presenta sulla scena con tutta l’autorità e la sicurezza della sinfonia di Shostakovich, la cui stesura è al centro della narrazione. Lo stile dell’autrice è diretto, ma sottile… Il miglior romanzo degli ultimi anni».
North and South

«Nel suo romanzo, Sarah Quigley dimostra come le passioni possano spingere gli esseri umani a lottare oltre i propri limiti, per appagare i desideri del loro cuore».
New Zealand Bookseller blog

«Un ritratto vivido… Shostakovich resta un personaggio imponente, irascibile e brillante, ma a condurre la narrazione è la trasformazione di Eliasberg, spinto dalle necessità della guerra a dar voce alla sinfonia vittoriosa del grande compositore».
New Zealand Listener

«Standing Ovation… Uno straordinario ritratto di una città assediata e stremata, e un racconto potente di come la musica possa avere un impatto sugli eventi».
Sunday Star Times

Traduzione dall'inglese di Chiara Brovellii
Euro 17,00
384 pagine
EAN 9788854505902


ANTHONTY CAPELLA Il profumo del caffe'

Londra, 1896. Robert Wallis ha ventidue anni e conduce una pigra esistenza da esteta, tra oppio, vaghe aspirazioni letterarie, una raffinatezza ricercata e languidi incontri con donne di facili costumi. Vive in un limbo ozioso: non più studente, dopo l’espulsione da Oxford, non ha alcuna fretta di trovare lavoro, assistito com’è dalla benevola munificenza del padre. Il giovane bohémien ignora però di avere un dono prezioso: un palato molto sensibile e una plume precisa ed elegante, capace di tradurre in parole ogni sfumatura del gusto.
Il caso vuole che un giorno capiti al Café Royal, la brasserie frequentata da Robert e da una nutrita schiera di eccentrici nullafacenti come lui, Samuel Pinker, un mercante di caffè basso come uno gnomo e dall’aria compunta e sobria come la sua finanziera senza fronzoli. Perspicace come pochi, Pinker assolda il giovane esteta per un progetto rivoluzionario: creare un cofanetto di aromi per dare al caffè un lessico universale. Il mercante ha una figlia, Emily, una ragazza dal viso espressivo e vivace, e dai ca pelli setosi e dorati raccolti in una crocchia severa. La razionalità e tenacia di Emily, allevata dal padre all’insegna del progresso e della modernità, compensano perfettamente la mollezza sensuale di Robert e, con grande disappunto di Pinker, tra i due nasce un amore condito da profumi e sapori afrodisiaci.
Al mercante non resta allora che sfidare Robert, invitandolo a mostrare di essere ben altro dall’uomo privo di nerbo che tutti credono sia. Lo spedisce perciò in Africa, nella regione dell’Abissinia conosciuta con il nome di Kaffa, a sud-ovest di Harar, col compito di creare una piantagione in quella terra perfetta per la coltivazione del caffè.
La bella Fikre, la schiava dagli occhi chiarissimi e dalle labbra color melagrana, e una terra dove tutto appare sotto il segno della passione più selvaggia sono, tuttavia, fatali per Robert. Il giovane bohémien non porta a termine il progetto della piantagione e, una volta tornato a Londra, trova il suo mondo completamente mutato, svanito nell’inesorabile scorrere del tempo. Emily è diventata un’entusiasta sostenitrice della causa delle suffragette ed è apparentemente dimentica del suo passato legame con Robert. Ma si può davvero dimenticare un amore sorto tra gli infiniti aromi di un’ammaliante bevanda nera?

«Una vicenda erotica, esotica, ambientata all’inizio del XX secolo, a opera di Anthony Capella, autore di celebri romanzi di tema gastronomico. Una trama ricca di immaginazione e una prosa profondamente descrittiva».
The Economist

«I colpi di scena sorprendenti e il realismo della storia d’amore sapranno affascinare un vasto pubblico».
Publishers Weekly

«Una narrazione veloce sostenuta dall’eccellente caratterizzazione dei due protagonisti, Wallis ed Emily, da parte di Capella».
Kirkus Review

«Anthony Capella crea un eccellente infuso tra storia e stile che comincia dolcemente, per trasformarsi in una miscela ricca e piena».
Library Journal

Traduzione dall’inglese di Maddalena Togliani
Euro 18,00
528 pagine
EAN 9788854505797


OLIVER POETZSCH La figlia del boia

Baviera, 1659. Sulla riva di un fiume nei pressi della cittadina di Schongau viene trovato agonizzante il figlio undicenne del barconiere Grimmer. Il tempo di adagiarlo con cura a terra, di esaminargli il profondo taglio che gli squarcia la gola, di scoprire sotto la sua scapola destra uno strano segno impresso con inchiostro viola – un cerchio sbiadito dalla cui estremità inferiore parte una croce – che il bambino muore. Qualche tempo dopo i bottegai Kratz si imbattono, davanti alla porta di casa, nella macabra scoperta del loro piccolo Anton, il figlio adottivo, immerso in un lago di sangue, la gola recisa con un taglio netto. Sotto una scapola del bambino viene trovato il medesimo segno del figlio del barconiere: il cerchio di Venere che simboleggia la donna come controparte dell’uomo, la vita, ma anche la continuazione della vita dopo la morte… il simbolo delle streghe. Peter Grimmer e Anton Kratz si conoscevano. Insieme con la piccola Maria Schreevogl e altri due bambini costituivano uno sparuto gruppo di orfani che era solito frequentare Martha Stechlin, la levatrice di Schongau che vive proprio accanto ai Grimmer. 
Sicché quando la piccola Maria, la mattina dopo che la madre adottiva scorge, lavandola nella tinozza, il fatidico cerchio sbiadito sulla sua spalla destra, scompare al seguito di una diabolica figura con una mano di ossa, gli abitanti di Schongau non hanno dubbi: la strega assassina è la levatrice, Martha Stechlin. È lei che ha tagliato la gola ai due bambini, è lei che, con un incantesimo, ha chiamato il demonio che ha rapito Maria.
Il destino di Martha Stechlin sembra così segnato. Messa nelle mani del boia di Schongau perché le sia estorta formale confessione, attende di essere spedita al rogo.
Jakob Kuisl, il boia di Schongau, un gigante alto quasi due metri, la barba nera e spinosa, le lunghe dita ricurve simili ad artigli, non crede però alla colpevolezza della levatrice. E con lui non credono che la dolce Martha sia una strega anche sua figlia Magdalena, un’attraente ragazza dalle labbra carnose, le fossette sulle guance e gli occhi ridenti, e Simon Fronwieser, il figlio del medico cittadino, un giovane con la chioma fino alle spalle e il pizzetto spuntato sul mento così ben visto tra il gentil sesso di Schongau.
I tre indagano per cercare di ribaltare una sentenza che sospettano sia stata scritta solo per convenienza politica e, soprattutto, per nascondere una verità inconfessabile. Una verità che, per Jakob, Simon e Magdalena, può emergere solo nel giro di una settimana, il tempo che resta prima che il rogo venga approntato.
Attraverso un’impeccabile e suggestiva ricostruzione storica della società tedesca del Seicento, La figlia del boia conduce il lettore in un’epoca di superstizioni e follie collettive e delinea una stupefacente figura propria di quel mondo: il boia, un uomo temuto, emarginato e, ad un tempo, un esperto erborista e un illuminato.

«Della Figlia del boia ho amato ogni pagina e ogni colpo di scena. Un romanzo storico di magnifica inventiva e con un protagonista sorprendente: un boia fornito di anima che lotta contro i pregiudizi e i tornaconti politici per salvare una strega da se stesso».
Scott Turow

«Oliver Pötzsch, nel cui albero genealogico sono presenti diversi boia, mestiere che si tramandava di padre in figlio, ci offre un avvincente romanzo storico ricco di dettagli sul tessuto sociale e sulla struttura del potere politico nella Baviera del XVII secolo».
Publishers Weekly

«Un panorama storico molto approfondito, ricco di informazioni sugli strumenti di tortura, sull’utilizzo di erbe medicinali e sulla vita quotidiana di commercianti e ostetriche. Un romanzo dal quale il lettore difficilmente riuscirà a staccarsi».
Nürnberger Zeitung

Traduzione dal tedesco di Alessandra Petrelli
Euro 16,90
342 pagine
EAN 9788854505735


MAGGIE SHIPSTEAD Festa di nozze

A Waskeke, un’isola del New England, in cima a una collinetta erbosa, spicca una casa alta e stretta, la cui facciata semplice, rivestita di assi grigie, parla di agi e sobrietà, di benessere e riserbo.
È la casa di Winn van Meter da vent’anni, da quando Livia, la sua secondogenita, era ancora in fasce e, per venti estati, il tempo e l’abitudine l’hanno trasformata in un sacro monolite sopra il quale il cielo estivo continua a fare capriole.
In quella casa si sta per svolgere la festa di matrimonio di Daphne, la primogenita di Winn e Biddy. Tra le sue mura, con disappunto di Winn, è tutto un viavai di damigelle e di altre vestali del sacro fuoco delle nozze. Biddy, la moglie di Winn, bada ossessivamente ai preparativi. Livia, shorts azzurri e gambe magre, si aggira come sempre accompagnata da una ventata d’aria di mare. Daphne, come al solito, nasconde i suoi moti interiori dietro uno specchio fumoso di dolcezza e serenità. Sta per sposare Greyson. Un’ottima scelta, agli occhi di Winn, poiché Greyson è sempre affabile ed è già avviato sulla strada per guadagnare una fortuna.
Winn, insomma, dovrebbe essere felice. Ma c’è qualcosa che l’angustia, qualcosa che gli dice che quella festa di nozze può anche trasformarsi in un infido percorso a ostacoli disseminato di occasioni di dire o fare qualcosa di sbagliato.
Sarà forse la sicura presenza alla cerimonia di Jack Fenn e di sua moglie Fee, ex fiamma di Winn? Quel Jack Fenn, membro della commissione d’ammissione del Pequod, il piú esclusivo club di golf di Waskeke che da anni lo tiene nella triste condizione di guest senza mai accoglierlo tra i suoi illustri soci?
Oppure il pericolo per lui, Winn, rispettabile bostoniano nei suoi tardi cinquant’anni, è rappresentato da Agatha, la giovane damigella di Daphne, un autentico esemplare di bomba sexy dalle morbide curve e l’aria di incurante e consumato disordine coi suoi vestitini bordati di pizzo, i pantaloni pericolosamente scesi sui fianchi, gli shorts che, pur soddisfacendo i requisiti della decenza, danno un’inconfutabile impressione di nudità?
Con una prosa elegante, illuminata da una frizzante e caustica ironia, Festa di nozze descrive una società ottusamente elitaria che si muove tra cene a base di aragosta, bloody mary e gin tonic, feste sfarzose e inarrivabili golf club assurdamente esclusivi: un mondo in cui il denaro e il prestigio sono tutto, ma che si sgretola sotto la spinta fatale della tensione erotica e sociale che vi fa improvvisamente irruzione.

«Maggie Shipstead è una scrittrice dotata di incredibile talento e Festa di nozze è un formidabile romanzo che commuove e diverte a un tempo».
Richard Russo

«Il mondo della buona società, dove le convenzioni celano le verità piú oscure».
Easyliving

«Maggie Shipstead ha scritto un romanzo che ha la stessa profondità delle opere di Anne Tyler. La sua commedia, seppure sarcastica, non è mai crudele, ma svela una raffinata conoscenza psicologica dei propri personaggi».
Book Oxygen

«La brezza marina che spira nelle pagine di Festa di nozze è l’affetto che Maggie Shipstead nutre per i suoi personaggi viziati, il segno della delicatezza con cui tratta le loro pene e i loro desideri».
Ron Charles, The Washington Post

«Un romanzo sofisticato e ironico su famiglia, infedeltà, status sociale e crisi di mezza età. Difficile credere che sia davvero un esordio».
Marie Claire

Traduzione dall’inglese di Lucia Olivieri
Euro 17,00
368 pagine
EAN 9788854505124


IRVIN YALOM Il problema Spinoza

Estonia, 1910. Il diciassettenne Alfred Rosenberg viene convocato nell'ufficio del preside Epstein. Gli occhi grigio-azzurri, il mento sollevato con un'aria di sfida, i pugni serrati, il ragazzo adduce ben poco per difendersi dall'accusa di aver proferito violenti commenti antisemiti in classe. All'ebreo Epstein non resta perciò che condannarlo a una singolare punizione: imparare a memoria alcuni passi dell'autobiografia di Goethe, il poeta che l'adolescente dichiara di venerare come emblema stesso del popolo tedesco. In particolare si tratta dei brani in cui l'autore del Faust si dichiara fervente ammiratore di Baruch Spinoza, il grande filosofo ebreo del diciassettesimo secolo.
La lettura insinua nella mente del giovane Rosenberg un tarlo che lo accompagnerà per il resto della vita: come può il sommo Goethe aver tratto ispirazione da un uomo di razza inferiore? Amsterdam, 1656. Bento, in ebraico Baruch, Spinoza ha ventitré anni: la sua famiglia è di origine portoghese, sfuggita all'Inquisizione e riparatasi nella più tollerante Olanda. L'aspetto del giovane Baruch è distinto e raffinato: i lineamenti aggraziati, la pelle priva di imperfezioni, gli occhi grandi, scuri e profondi. E, dietro quegli occhi, una mente che non esita a elaborare pensieri eccentrici sulla fede, e idee sul mondo così poco ortodosse da attirare il sospetto di eresia.
Bento di nascosto si istruisce sulla lingua e le idee di Aristotele e dei grandi filosofi greci presso l'accademia di Franciscus van den Enden, un elegante uomo di mondo, quel mondo esterno così inviso alla comunità ebraica.
Con iniziale sgomento di Spinoza, van den Enden addirittura osa affidare parte dell'insegnamento alla figlia Clara Maria, una giovane dal collo lungo e il sorriso seducente di cui Baruch si invaghisce a tal punto da concepire pensieri impuri e desideri impronunciabili tra le mura della comunità.
Il risultato di questa educazione filosofica e sentimentale è scontato: il giovane pensatore viene scomunicato e costretto a condurre una vita solitaria e appartata, che lo porterà tuttavia a produrre opere sublimi per profondità e drammaticità. Opere che trecento anni dopo non smettono di tormentare, sotto forma di incessanti domande, l'«ariano» Rosenberg, divenuto uno dei fondatori del partito nazista e stretto collaboratore di Hitler: davvero Baruch Spinoza, quest'uomo appartenente a una razza da sterminare, è riuscito a sviluppare un pensiero filosofico così lucido e geniale? O forse il segreto della sua genialità non sta nella sua mente, ma altrove? Magari nella sua piccola biblioteca personale, su cui la guerra consente di mettere le mani?
Dopo aver indagato i fantasmi della mente di Nietzsche e Schopenhauer, Yalom illumina la vita misteriosa e controversa di Baruch Spinoza nella Amsterdam del Seicento e l'ossessione per le sue opere nella Germania antisemita del secolo scorso.

«Un'invenzione magistrale che fa rivivere la filosofia di Spinoza attraverso la storia della Germania nazista e la figura di Alfred Rosenberg».
Abraham Verghese

«Il romanzo più affascinante che ho letto negli ultimi anni. Irvin Yalom ha creato un'opera così intensa che è impossibile metterla da parte. La consiglio vivamente».
Anthony Hopkins, attore

Traduzione dall’inglese di Serena Prina
Euro 17,50
448 pagine
EAN 9788854504479


ERIK LARSON Il giardino delle bestie

Questo libro narra della storia vera di William E. Dodd e di sua figlia Martha, un padre e una giovane donna americani che si ritrovano improvvisamente trapiantati dalla loro accogliente casa di Chicago nel cuore della Berlino nazista del 1934.
Sessantaquattro anni, snello, gli occhi grigio-azzurri e i capelli castano chiaro, nel 1933 William E. Dodd è un rispettabile professore di storia all’università di Chicago, con una certa notorietà per i suoi scritti sul Sud degli Stati Uniti e la sua biografia di Woodrow Wilson.
Fervente democratico jeffersoniano, a suo agio soltanto negli ambienti frugali della sua piccola fattoria di campagna, Dodd ha una moglie, Mattie, e due figli: William Jr – Bill – e Martha, la prediletta. Ventiquattro anni, i capelli biondi, gli occhi azzurri e un sorriso radioso, Martha ha un’immaginazione venata di romanticismo e un atteggiamento cosí civettuolo, da avere già acceso la passione in molti uomini.
La vita di questa famiglia americana, a detta di tutti felice e unita, muta radicalmente nel giugno del 1933. Mentre siede alla sua scrivania all’università, Dodd riceve una telefonata da Franklin Delano Roosvelt, il presidente degli Stati Uniti, che gli annuncia la sua intenzione di nominarlo a capo della rappresentanza diplomatica americana a Berlino.
Dodd è tutto fuorché il candidato modello per un simile incarico. Non è ricco, non è politicamente influente e non appartiene nemmeno alla cerchia degli amici di Roosvelt. Certo, ha conseguito un dottorato a Lipsia e conosce il tedesco, ma nulla piú.
Tuttavia, per Roosvelt è un ambasciatore perfetto per un paese che, tra la crisi economica dilagante e un altro rovinoso anno di siccità, rappresenta per l’America soltanto una seccatura: la seccatura di un miliardo e duecentomila dollari, debito che Berlino ha contratto con gli Stati Uniti, e che Hitler si mostra sempre meno propenso a voler saldare.
Ed è cosí che, al loro arrivo, William e Martha Dodd si ritrovano ad attraversare una città addobbata di immensi stendardi rossi, bianchi e neri; a sedere negli stessi caffè all’aperto frequentati dalle SS in uniforme nera; a passare davanti a case con balconi traboccanti di gerani rossi; a fare acquisti nei giganteschi empori della città, a organizzare tè, aspirare le fragranze primaverili del Tiergarten, il parco principale di Berlino; ad avere rapporti sociali con Goebbels e Göring, in compagnia dei quali cenare, danzare e divertirsi allegramente; finché, alla fine del 1934, accade un evento che smaschera la vera natura di Hitler e del potere a Berlino, la grande e nobile città che agli occhi di padre e figlia si svela per la prima volta come un immenso Tiergarten, un giardino delle bestie.

«Una magnifica, struggente… irresistibile storia vera».
New York Times

«Come Addio a Berlino di Christopher Isherwood, Il giardino delle bestie è la cronaca diretta di una società che precipita lentamente nella follia».
Chicago Sun-Times

«Larson ha meticolosamente ricostruito il soggiorno di Dodd a Berlino, in qualità di testimone diretto dell’ascesa al potere di Hitler, e ha narrato di questa parte non del tutto nota della storia nella forma di un vero e proprio thrillerpolitico».
New York Times Book Review

«È come scivolare lentamente in un incubo, con la logica distorta e la moralità capovolta… Tutto viene restituito con potente, inquietante immediatezza».
Vanity Fair

«Uno sconvolgente racconto di un’epoca terribile, che ripropone una domanda riguardo al nazismo cui non è stata ancora data una risposta soddisfacente: quali mezzi sono necessari per rendere inoffensiva la bestia, per evitare l’estrema malvagità di cui sono capaci alcuni esseri umani?».
Seattle Times

Traduzione dall’inglese di Raffaella Vitangeli
Euro 18,00
560 pagina
EAN 9788854505742

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