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domenica 28 aprile 2013

Silenziosa e buia come la neve

Da ore la spia della benzina gli indicava che era in riserva.
Non aveva previsto di fermarsi, ma ormai non gli restava altra scelta. Le catene si erano rivelate utili lungo le strade che si arrampicavano sulla montagna ammantata di neve fresca, friabile come polistirolo, ma ormai era notte, l’asfalto stava rapidamente ghiacciando e il rischio di rimanere in panne era più di quello che era disposto ad affrontare per raggiungere la baita. 
Sarebbe arrivato in ritardo al week-end organizzato dai suoi colleghi, ma non importava. Non se avesse trovato il modo di passare la notte al caldo, ripartendo al mattino, con la mente fresca e il volto sbarbato.
Da quelle parti un tempo c’era una pensione, qualcosa di vagamente simile a un motel per turisti demoralizzati e dispersi. 
Uno stabile alto e lungo arroccato sul ciglio della strada, le camere sul retro affacciate sul burrone. Piuttosto lugubre e caratteristico.
Vi aveva soggiornato con Lisa, ai tempi in cui la loro storia aveva ancora qualche speranza di funzionare. 
Come richiamato dal suo pensiero, superata l’ennesima curva l’edificio gli si parò davanti all’improvviso, senza dargli il tempo di accostare. Fece retromarcia e sistemò l’auto in una minuscola radura a bordo strada. Sbuffò diverse volte, esalando nuvolette di vapore caldo, mentre prelevava il borsone di viaggio e raggiungeva a lunghe falcate il portone d’ingresso. Accolto da un silenzio greve e pesante come ghiaccio, il rumore del cofano che sbatteva era risuonato come una detonazione, facendolo sobbalzare.
Da una decina di minuti aveva ripreso a nevicare.
Quando suonò la campanella della reception, il suo giaccone era coperto da fiocchi bianchi tutt’altro che intenzionati a sciogliersi. Si chiese con una certa inquietudine se lì avessero il riscaldamento funzionante. Entrando non aveva avvertito alcuno sbalzo termico, nemmeno un flebile tepore; nella hall si gelava esattamente come fuori. Si guardò intorno, a disagio.
Aveva ricordi molto vaghi di quel luogo – quei pochi si confondevano con le immagini di lui e Lisa che si rotolavano sul materasso cigolante –, ma certo la volta precedente non gli era sembrato così spoglio e desolato. La luce smorta dei neon illuminava mobili vecchi e spartani, coperti da strati di polvere spessi come tappeti. 
L’aria era consumata, come se nessuno aprisse le finestre da giorni, forse mesi. Uno sgradevole odore di muffa, come se qualcosa marcisse in antri invisibili, lo costringeva a trattenere il respiro.
Alla reception non si vedeva nessuno, e iniziava a sentirsi a disagio.
Suonò di nuovo, premendo il dito qualche secondo in più del necessario.
– Desidera? – bisbigliò una voce alle sue spalle.
Sobbalzò dallo spavento. 
Si girò lentamente, sforzandosi di nascondere il disappunto, per vedere a chi apparteneva quella voce femminile che infrangeva il silenzio come una lama graffierebbe il vetro. 
Il secondo sobbalzo lo ebbe quando i suoi occhi si posarono su di lei.
Era la donna più bella che avesse mai visto. 
Non tanto per il corpo snello, i capelli lunghissimi o la scollatura profonda che esibiva. Era il volto a catturare la sua attenzione. Occhi magnetici, profondi come pozzi, regalavano all’ovale un’arroganza pienamente giustificata. Le bastò fissarla qualche secondo per avere l’assurda sensazione che quel volto fosse l’unica, magnifica pennellata di colore in un mondo che all’improvviso si era fatto nero, come se tutto il resto avesse smesso di esistere.
– Allora? –
Sbatté le palpebre e fu colto da una lieve vertigine. 
Il mondo riacquistò i suoi colori e la hall la sua polvere, il sentore rancido era più forte che mai.
– Una stanza… Cerco una stanza per la notte. –
Si trovò a seguire la sconosciuta su per scale ripide, respirando quell’insopportabile odore di stantio. 
Anche le scale sembravano impolverate. 
Nel porgergli le chiavi, le labbra della donna si arcuarono in un sorriso terribilmente sensuale. Suo malgrado, sentì il bisogno di cercare i suoi occhi e indugiare più a lungo di quanto avrebbe voluto nelle due pozze color fango, che sembravano allargarsi ogni secondo che passava, risucchiando ogni cosa.
Pur nella sua abbagliante simmetria, il volto di quella donna senza età – poteva avere vent’anni o quaranta, non era in grado di stabilirlo – presentava qualcosa di stonato.
Colpa forse degli occhi troppo grandi, simili a quelli delle donne degli hentai che amava tanto, o delle labbra sproporzionatamente carnose rispetto al nasino francese all’insù, un puntino nel mare lattiginoso della sua pelle. Quella strana donna corrispondeva perfettamente ai suoi canoni, del tutto irrealistici, di bellezza femminile.
Quella notte si rigirò a lungo tra le coperte, inquieto e ansioso.
Eppure non aveva alcun motivo per sentirsi così. 
Gli venne da pensare che se un rumore insistente, in determinate condizioni d’animo, poteva far impazzire un uomo, altrettanto poteva fare il silenzio più assoluto. Quando sentì stridere i vetri della finestra, perciò, per prima cosa si sentì sollevato. 
Un rumore sordo e metallico che aumentava d’intensità, provocandogli una curiosa sensazione di pelle d’oca. Gli ricordava quello delle foglie mosse dal vento che graffiano i vetri… No, piuttosto un ramo, spezzato dal carico di neve.
O forse semplicemente un sogno. Non aveva ordinato alle sue gambe di muoversi, ma queste avevano già scostato il piumone e di lì a poco aveva sentito il pavimento gelido sotto i piedi.
Uno, due, tre passi in direzione della finestra.
Le spesse tende lasciavano trasparire il bagliore accecante della neve, appena offuscato da una sagoma oscura. 
Le aprì e se la trovò davanti. Le labbra sorridevano, negli occhi si agitavano piccoli vortici che gli davano le vertigini. 
Volteggiava nell’aria immobile, e il tanfo rancido emanato dalle vesti presto divenne un profumo seducente.
– Posso entrare? – chiese con voce melodiosa, come se stesse cantando.






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