Ciao
amici lettori!
Oggi
vi scrivo perché vorrei un vostro parere su un racconto che sto scrivendo.
Questo è l’incipit. Non riesco a essere obiettiva con me stessa, ma tanto credo
non ci riesca nessuno… quindi siatelo voi, siate obiettivi, anzi, di più, spietati :-) !!! Un abbraccio, se potete commentate.
Velletri,
oggi.
Ancora
quella maledetta musica!
Era
tornato, come ogni settimana. Supponeva fosse trascorsa proprio una settimana
dall’ultima volta che era venuto a trovarla, ma non poteva saperlo con
certezza. Nessuno le diceva niente, lì, e lei non mai domandava nulla. Le
bastava starsene rannicchiata sotto le coperte e dormire. Avrebbe
voluto dormire per sempre. E invece quell’uomo non la lasciava in pace.
Entrava,
salutava cortesemente, sistemava il giradischi in un angolo e dopo aver
armeggiato un po’, iniziava la musica. Una musica orribile, che lei non voleva
sentire.
Ma
non voleva nemmeno parlargli. Perciò restava in silenzio, si faceva più piccola
tra le ruvide lenzuola d’ospedale, tirava la coperta infeltrita fin sulla
fronte e si premeva il cuscino contro le orecchie. Aspettava solo che l’uomo se
ne andasse.
Senza
di lui, le giornate trascorrevano avvolte da una rassicurante routine. A metà
mattina arrivava qualcuno a caricarla su una carrozzina per portarla a fare un
giro nel parco.
Era
primavera inoltrata, ma lei a volte sentiva così freddo, nonostante la coperta
che teneva sulle gambe, che era costretta ad aprire bocca per chiedere
all’infermiere di riportarla in camera.
Il
pomeriggio la sistemavano accanto alla finestra, e allora poteva osservare
indisturbata la danza delle foglie nel vento e i riflessi ambrati della pioggia
che luccicava sui vetri. Pioveva spesso.
Brevi
temporali primaverili che duravano il tempo di una canzone. Poi il sole
squarciava il cielo, concedendole qualche istante di abbagliante, rassicurante
cecità. Le piaceva stare alla finestra e osservare il mondo, un mondo di cui
non faceva più parte, ma provava anche molta paura. La
paura era iniziata il giorno in cui si era svegliata senza ricordare nulla. Si
era alzata, dolorante, perché lo stimolo di urinare era più forte del sonno.
In
bagno, aveva colto il riflesso dello specchio.
Dagli
occhi l’immagine aveva raggiunto la gola ed era esplosa in un urlo senza fine.
Roma,
1979
Camminava
senza una meta precisa per le vie della capitale.
Doveva
sforzarsi per non mettersi a correre. A volte, come quel giorno, aveva come
l’impressione di poter esplodere da un momento all’altro. Lei non era fatta per
quella vita. Lei voleva viaggiare, vivere d’avventura, sentire sul palato il
sapore salmastro dell’oceano e attraversare la Francia in treno, fino alla
vagheggiata Parigi, fino a mangiare brioches seduta a un tavolino affacciato su
un affollato boulevard, con le foglie rosse e gialle che volteggiano allegre
nel vento. Da lì raggiungere il porto di Marsiglia su un’auto decappottabile,
il vento a scompigliarle i capelli, mano nella mano con l’ultimo amante
francese e poi… Un urto improvviso la fa sbattere contro una panciuta massaia
dall’aria arcigna.
–
Signorina, ma guardi un po’ dove va! – la rimbecca quella, fissandola con odio.
Adele
non fa in tempo a scusarsi che è già sparita, i fianchi larghi ondeggianti
sotto il peso delle buste della spesa. Odore di pane croccante, ancora caldo,
appena sfornato. In quella città piena di traffico fa in fretta ad andar via.
La rabbia è svanita all’improvviso, sostituita da una familiare, cupa
rassegnazione. E voglia di piangere, che quella non l’abbandona quasi mai.
A
chi vuol darla a bere?, si chiede. La sua vita non cambierà mai.
La
sua vita è l’Ostiense e la bettola puzzolente di suo padre. La sua vita è la
botteguccia in cui lavora come sarta, una tra le tante che sperano di sposarsi
presto per sottrarsi a una vita fatta di aghi nelle dita e spine nel cuore. Non
è la vita che sogna lei. Accelera il passo, sa che se la signora non la vedrà
tornare nel giro di mezz’ora, saranno guai grossi.
Si
infila in una viuzza, magari farà prima.
Le strade corrono veloci mentre accelera il passo e le manca il fiato, scansa fruttivendoli e pedoni, respirando a pieni polmoni per togliersi di dosso quell’angoscia che la perseguita. Imbocca un’altra stradina laterale e si ferma di colpo, confusa.
Le strade corrono veloci mentre accelera il passo e le manca il fiato, scansa fruttivendoli e pedoni, respirando a pieni polmoni per togliersi di dosso quell’angoscia che la perseguita. Imbocca un’altra stradina laterale e si ferma di colpo, confusa.
In
lontananza il Colosseo non si vede più, credeva di aver preso la direzione
giusta ma è ormai evidente che non è così. Si guarda intorno. Non riconosce le
case, le botteghe; persino il cielo ha un colore diverso in quella zona
sconosciuta di Roma. Il sole sta lentamente scomparendo, risucchiato da nuvole
color pece, i tuoni in lontananza annunciano l’arrivo di un temporale.
Fa troppo
caldo, da un po’ di giorni a quella parte. Il sudore si appiccica sulla pelle
anche di notte, quando dalla finestra spalancata l’alito afoso di luglio corre
sui tetti. È stanca, rassegnata, triste, e probabilmente perderà il lavoro.
Wow complimenti! Secondo il mio modesto parere è molto bello e ben scritto.
RispondiEliminaQuando pensi di finirlo?
Spero che pubblicherai per intero qui.
Grazie Svetlana, sei molto carina :-)! Sì, credo proprio di pubblicarlo presto! Un abbraccio!
EliminaHa un bel ritmo veloce e piacevole,anche se l'inizio è triste.Bisognerebbe leggerlo tutto,tienimi al corrente :)
RispondiEliminaMi piace! Ben scritto,mi dispiace non poter leggere oltre....
RispondiEliminaComplimenti e in bocca al lupo,spero che lo pubblicherai presto.
Grazie di cuore Mel :)
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