In quel momento il telefono inizia a squillare, quasi istigato da un’oscura forza del pensiero. Niente come quel suono è in grado di spazzare via in un sol colpo ogni parvenza di serenità.
Un, due, tre, cinque, sette squilli…si mette a fissarlo apertamente, accigliata, ma la forza del pensiero sembra aver perso ogni efficacia.
Quando smette tira un sospiro di sollievo.
Troppo presto.
Passano solo pochi secondi e già riprende, un trillo che le sembra ancora più acuto, più maligno e invadente di prima. Si sforza di contare fino a cinque – il tempo che secondo il suo maestro di yoga basterebbe a scongiurare un attacco di rabbia – ma al tre ha già gettato a terra la camicia ed è corsa all’apparecchio.
Stacca violentemente il vecchio filo grigio dalla presa, ma ormai ogni gioia è svanita.
Quando raccoglie la camicia, si accorge che è sporca: puzza tremendamente di fumo, e in alcuni punti il bianco è contaminato da imprecisati aloni grigi.
Dovrebbe finire dritta nel cesto dei panni sporchi.
Si sdraia sul letto, ancora nuda. Quando volta il viso in direzione dell’enorme specchio che ricopre la parete, la stessa giovane donna di prima la sta fissando con espressione indecifrabile.
Il suo corpo bianco è una pozza di luce sul vinaccia intenso del copriletto, come prima la camicia. Forse la scelta di quel colore, in uno anonimo magazzino di un’altrettanto anonima periferia, non è stata affatto casuale. Forse l’effetto che voleva ottenere era proprio quello.
Sottolineare un candore inesistente.
Che pensieri stupidi!, si ammonisce mentre con un dito traccia un lieve cerchio attorno all’ombelico. Basta quel tocco e immagini della sera prima le riaffiorano alla mente, più vivide che mai. Colori, odori, sapori, suoni….è tutto scolpito a fuoco nella sua memoria. Ora la donna nello specchio ha un’espressione diversa. I suoi occhi scuri lampeggiano, più vivi che mai. Difficile capire se il lampo di eccitazione che li attraversa ha più a che fare con la rabbia o col desiderio.
Poi abbandona le braccia sul letto, improvvisamente esausta.
Volta la faccia per non vedere che sguardo ha ora la donna allo specchio. I suoi pensieri tornano lì.
Perché diavolo si è ostinata a installare un telefono fisso, e non ha tenuto semplicemente un cellulare, come tutte le sue coetanee? Coetanee, si ripete mentalmente. Conoscenti. Amiche, a volte.
Ha sempre avuto un certo talento nell’infiocchettare la realtà.
Tipicamente femminile, pensa con disgusto.
Come se le cose fossero più accettabili solo perché le si chiama con un nome anziché con un altro.
Una serie di bruschi colpi alla porta la riscuotono dai suoi pensieri.
Un bussare insistente e nervoso, che riconoscerebbe ovunque.
“Entra!” Urla. Afferra il copriletto e si copre dalla vita in giù.
La porta si spalanca di botto, e Alice la fissa torva dalla soglia. Anche lei è seminuda. La vestaglia di seta color smeraldo, consumata in più punti, è aperta e casca floscia sul corpo spigoloso.
Ha gli occhi rossi. Più del solito, in verità. Stamattina risaltano particolarmente sul viso pallido e smunto, chiazzato di scuro all’altezza di uno zigomo. Per un attimo considera se è il caso di domandarle qualcosa – puro spirito di ipocrita sorellanza tra “coetanee” – ma accantona immediatamente l’idea.
Da quando è lì ha elaborato poche ma semplici regole di vita.
Con un po’ di fantasia, si potrebbero anche definire una sorta filosofia esistenziale.
Una delle regole fondamentali è di non fare domande, se le risposte potrebbero non piacerti.
“Ce li hai i soldi dell’affitto?” Biascica Alice. La voce è infastidita, impastata dal sonno.
“No”
“Bè, vedi di trovarli. Non ci tengo a finire sulla strada per colpa tua.”
Sparisce, com’è arrivata, in uno sgradevole frusciare di ciabatte e seta verde.
Il suo profumo da poco prezzo ha già invaso la stanza, le brucia le narici.
L’eco della porta che sbatte le rimane al lungo nelle orecchie.
Dopo qualche istante di riflessione si alza e va a chiudere la finestra. Il piacevole venticello del mattino si è inspiegabilmente trasformato in una gelida tramontana. Controvoglia, riattacca la presa del telefono. Non passa nemmeno un minuto e già squilla.
Lei risponde al già secondo trillo, rassegnata all’inevitabile.
“Pronto”
Sa che il suo tono è burbero, per nulla cortese. Ma sa anche che c’è un limite a quello che una donna può fingere.
“Dov’eri ieri sera?” Una voce maschile, dura e profonda, sancisce il definitivo ritorno alla realtà.
“Lavoravo” Mente meccanicamente. Sa di non essere brava.
Dall’altro capo le fa eco un silenzio arrabbiato e impotente.
L’uomo sa di non poter ribattere nulla, e questo lo fa infuriare ancora di più.
“Riusciamo a vederci oggi?” Riprende dopo un po’.
Fa uno sforzo evidente per mantenere la calma. Lei sa che se non temesse di vedersi attaccare il telefono in faccia, le farebbe una scenata e urlerebbe come un matto, rovesciandole addosso la rabbia accumulata durante la notte. Prima di rispondere si crogiola nell’inaspettato potere datole dall’apparecchio telefonico.
“Dipende”
“Come sarebbe a dire dipende?”
“Devo lavorare. Ho bisogno dei soldi dell’affitto.”
“Ma se stanotte…”
“Non ho guadagnato che un misero acconto. Lo sai quanto costa un appartamento del genere in pieno centro.” Le da una maligna soddisfazione immaginare il pomo d’adamo dell’uomo che fa su e già. Il suo volto paonazzo, alterato dall’ira.
“Tua moglie invece che fa oggi?” Lo stuzzica dopo un po’, con malcelato sarcasmo. Adora tormentarlo.
“Perché?”
“Bè….se tu volessi….Voglio dire, devo lavorare, certo. Ma se tu volessi, tesoro, potrei lavorare tutto il giorno con te…”
Un breve silenzio. Sa che in lui sta avvenendo un’accanita lotta tra desiderio e orgoglio.
Sa anche che il primo avrà il sopravvento, come sempre.
“Passeresti l’intera giornata con me?” Dice infatti.
La sua voce è diventata improvvisamente stanca. Rassegnata.
“Certo”
“Allora va bene. Passo tra un’ora. Non farmi aspettare come tuo solito”
“Certo, tesoro!” Cinguetta, quasi contenta. Dopotutto la giornata può anche non rivelarsi uno schifo completo. “Senti, c’è quella piccola questione dei soldi…so che di te posso fidarmi, ma visto che devo pagare l’affitto, preferirei…”
“Avrai tutti i contanti appena ci vediamo”.
“Sei un vero tesoro…”
“E tu sei una poco di buono”
Negli anni ha imparato che la maggioranza degli uomini non ce l’ha, quella capacità di infiocchettare le cose col potere magico delle parole. Questa cosa la fa infuriare.
“Una escort, tesoro” Sottolinea eloquentemente la parola, per far in modo che lui colga appieno la durezza nella sua voce. “Una escort. Vedi di non dimenticartelo, se vuoi che oggi sia carina con te.”
Riattacca.
Striscia sul piumone fino al comodino e armeggia a lungo nell’enorme borsa di pelle nera. Finalmente trova il pacchetto delle sigarette. Non le rimane che l’ultima.
Inaspettatamente intercetta il proprio sguardo nello specchio.
Ha l’irrefrenabile impulso di gettargli qualcosa addosso e spaccare una volta per tutte quella faccia che la scruta, strafottente e impietosa, ma si trattiene.
Stesa supina, gli occhi chiusi, inspira ed espira lentamente il tabacco. Deve rilassarsi.
La sua vita è quella, non deve far altro che accettarla.
La sua vita è lunga e complicata, fatta di giorni, ore, uomini e soldi da trovare.
La sua vita non è l’appuntamento romantico di una sera, non è l’uomo che la sera prima l’ha stretta tra le braccia con tenerezza, sussurrandole nell’orecchio parole mai udite prima.
Quello era un bel sogno. Questa è la realtà…e nella realtà non c’è spazio per lui.
Lacrime calde iniziano a scenderle sulle guance, lavando via le ultime tracce di mascara, e finiscono sul piumone, sporcando di nero il tessuto già scuro.
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