Devo ammettere che quando ho comprato questo libro mi aspettavo tutt'altro.
E devo anche ammettere che si, sono rimasta delusa.
E questo non perché il romanzo sia troppo volgare, o troppo poco, o ancora perché sia scritto male: la prosa non è certo incantevole, ma nemmeno cattiva, è sintetica, concisa, adatta al realismo che dovrebbe ispirare un’opera probabilmente in parte autobiografica (Valérie Tasso, infatti, per un certo periodo ha esercitato la prostituzione d’alto bordo).
Mi ha delusa perché nelle premesse doveva essere un romanzo sul sesso, invece ha finito per essere l’ennesimo romanzo sull’amore.
Innanzitutto, la protagonista non è una ninfomane nel senso letterale del termine, è solo una donna dai facili costumi; la vera ninfomania è una malattia, una compulsione nevrotica da cui non si guarisce da un giorno all’altro solo perché ci si innamora, come succede alla protagonista, che invece sembra essere una donna come tante, come troppe o forse addirittura come tutte: emotivamente fragile e dedita alle dipendenze, che si tratti di sesso o di amore fa poca differenza.
Il libro, aimè, non è un elogio dell’ars amatoria o la bandiera di una nuova rivoluzione sessuale femminile, il riscatto di una donna-oggetto che si riscopre donna-soggetto proprio attraverso il sesso, bensì l’ennesimo elogio dell’amore e della sua potenza salvifica.
Come a dire, da Cenerentola in poi niente di nuovo sotto il sole: cambiano i contenuti ma non il concetto base, ossia che per una donna l’amore del principe azzurro è l’unica soluzione possibile alla patologia, l’unico riscatto perché ella non si perda. Ma prima bisogna baciare – e ingoiare – molti rospi perché l’amore, e questo il libro lo sottolinea fin troppo bene, può essere esso stesso patologia.
Accade quando la protagonista sostituisce la dipendenza dal sesso compulsivo con la dipendenza affettiva da un uomo sadico e malato, col quale si trova invischiata in una storia comunissima tra le donne con un basso livello d’autostima, anche se per fortuna non sempre così violenta e distruttiva. Una storia in cui la donna si trova a dare tutto – sesso, amore, cure, tempo, soldi, salute e vita – e l’uomo succhia come un sanguisuga, finché lei si trova sola e completamente vuota, incapace di spiegarsi perché quello che credeva amore le abbia portato via tutto, inclusa qualsiasi forma di dignità, come accade alla protagonista.
Il romanzo non fornisce nessuna vera soluzione a questo bisogno d’amore e dipendenza tutto femminile, non ha una morale da promuovere, né la bella Valerie sembra trarre nessun insegnamento dalla sua esperienza.Diario di una ninfomane non da risposte e questo è comprensibile, ma il problema è che non fa nemmeno domande, è pura e sterile narrazione della vita di una donna a mio avviso fin troppo comune.
Mi aspettavo un libro che parlasse di sesso, di quent’è bello e quanto è giusto farlo, senza pudori né ipocrisie, rispettando il proprio corpo e tenendo sempre a mente che la nostra libertà inizia dove finisce quella altrui.
Ho trovato un libro che parla del sesso come uno strumento – inefficace – per colmare il vuoto, come di una semi-patologia paragonabile a tante altre (alcolismo, droga, anoressia ecc.) cui dedicarsi in maniera compulsiva pur di non pensare, in attesa di un amore che forse ci salverà, ma forse no.
Probabilmente troppe aspettative hanno giocato a mio sfavore, sta di fatto che consiglio questo libro solo se avete la capacità di leggere tra le righe e fermarvi a riflettere. In caso contrario lo reputo una lettura abbastanza pericolosa, sebbene a tratti eccitante.
Voto: 2/5
E questo non perché il romanzo sia troppo volgare, o troppo poco, o ancora perché sia scritto male: la prosa non è certo incantevole, ma nemmeno cattiva, è sintetica, concisa, adatta al realismo che dovrebbe ispirare un’opera probabilmente in parte autobiografica (Valérie Tasso, infatti, per un certo periodo ha esercitato la prostituzione d’alto bordo).
Mi ha delusa perché nelle premesse doveva essere un romanzo sul sesso, invece ha finito per essere l’ennesimo romanzo sull’amore.
Innanzitutto, la protagonista non è una ninfomane nel senso letterale del termine, è solo una donna dai facili costumi; la vera ninfomania è una malattia, una compulsione nevrotica da cui non si guarisce da un giorno all’altro solo perché ci si innamora, come succede alla protagonista, che invece sembra essere una donna come tante, come troppe o forse addirittura come tutte: emotivamente fragile e dedita alle dipendenze, che si tratti di sesso o di amore fa poca differenza.
Il libro, aimè, non è un elogio dell’ars amatoria o la bandiera di una nuova rivoluzione sessuale femminile, il riscatto di una donna-oggetto che si riscopre donna-soggetto proprio attraverso il sesso, bensì l’ennesimo elogio dell’amore e della sua potenza salvifica.
Come a dire, da Cenerentola in poi niente di nuovo sotto il sole: cambiano i contenuti ma non il concetto base, ossia che per una donna l’amore del principe azzurro è l’unica soluzione possibile alla patologia, l’unico riscatto perché ella non si perda. Ma prima bisogna baciare – e ingoiare – molti rospi perché l’amore, e questo il libro lo sottolinea fin troppo bene, può essere esso stesso patologia.
Accade quando la protagonista sostituisce la dipendenza dal sesso compulsivo con la dipendenza affettiva da un uomo sadico e malato, col quale si trova invischiata in una storia comunissima tra le donne con un basso livello d’autostima, anche se per fortuna non sempre così violenta e distruttiva. Una storia in cui la donna si trova a dare tutto – sesso, amore, cure, tempo, soldi, salute e vita – e l’uomo succhia come un sanguisuga, finché lei si trova sola e completamente vuota, incapace di spiegarsi perché quello che credeva amore le abbia portato via tutto, inclusa qualsiasi forma di dignità, come accade alla protagonista.
Il romanzo non fornisce nessuna vera soluzione a questo bisogno d’amore e dipendenza tutto femminile, non ha una morale da promuovere, né la bella Valerie sembra trarre nessun insegnamento dalla sua esperienza.Diario di una ninfomane non da risposte e questo è comprensibile, ma il problema è che non fa nemmeno domande, è pura e sterile narrazione della vita di una donna a mio avviso fin troppo comune.
Mi aspettavo un libro che parlasse di sesso, di quent’è bello e quanto è giusto farlo, senza pudori né ipocrisie, rispettando il proprio corpo e tenendo sempre a mente che la nostra libertà inizia dove finisce quella altrui.
Ho trovato un libro che parla del sesso come uno strumento – inefficace – per colmare il vuoto, come di una semi-patologia paragonabile a tante altre (alcolismo, droga, anoressia ecc.) cui dedicarsi in maniera compulsiva pur di non pensare, in attesa di un amore che forse ci salverà, ma forse no.
Probabilmente troppe aspettative hanno giocato a mio sfavore, sta di fatto che consiglio questo libro solo se avete la capacità di leggere tra le righe e fermarvi a riflettere. In caso contrario lo reputo una lettura abbastanza pericolosa, sebbene a tratti eccitante.
Voto: 2/5
ma fatevi furbi tutti meno male che alcune donne hanno sempre voglia il sesso fa solo bene bisognerebbe scopare anziche perdere tempo a parlare tanto piu in modo finto e virtuale fanculo il progressoooooooooooooooooooooooooooo.
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