Qualche
mese fa, “Il messaggero” aveva indetto un concorso letterario intitolato “Donne
che fanno testo”. Ho deciso di partecipare, credendo nella correttezza dei
meccanismi di selezione e nella limpidezza dell’organizzazione (cosa che in
Italia… lasciamo stare va!).
Come sempre, rispetto i tempi di consegna, rispetto le battute, rispetto persino il tema da trattare (cosa che in molti racconti era del tutto assente). Secondo il regolamento, tutti i racconti pervenuti entro il termine utile di invio sarebbero stati pubblicati sul sito, dove scaricarli e leggerli; solo i vincitori, selezionati da anonima giuria, sarebbero stati pubblicati sulle pagine de “Il Messaggero”. Invio e attendo, speranzosa, di veder apparire il mio racconto sul sito. Niente. Passano i giorni, scrivo una mail di richiesta informazioni su che fine avesse fatto il mio racconto (il forum di invio diceva che era stato inviato correttamente, mi era addirittura arrivata conferma di ricezione da parte del destinatario), non ricevo risposta e intanto il mio racconto non si vede. Passano altri giorni, il concorso scade, ma sempre niente. Mando un’altra mail, sempre cortese e umile, come purtroppo sono io, ma ovviamente non ricevo risposta. Non mi vergogno di dire che ci sono rimasta male.
Come sempre, rispetto i tempi di consegna, rispetto le battute, rispetto persino il tema da trattare (cosa che in molti racconti era del tutto assente). Secondo il regolamento, tutti i racconti pervenuti entro il termine utile di invio sarebbero stati pubblicati sul sito, dove scaricarli e leggerli; solo i vincitori, selezionati da anonima giuria, sarebbero stati pubblicati sulle pagine de “Il Messaggero”. Invio e attendo, speranzosa, di veder apparire il mio racconto sul sito. Niente. Passano i giorni, scrivo una mail di richiesta informazioni su che fine avesse fatto il mio racconto (il forum di invio diceva che era stato inviato correttamente, mi era addirittura arrivata conferma di ricezione da parte del destinatario), non ricevo risposta e intanto il mio racconto non si vede. Passano altri giorni, il concorso scade, ma sempre niente. Mando un’altra mail, sempre cortese e umile, come purtroppo sono io, ma ovviamente non ricevo risposta. Non mi vergogno di dire che ci sono rimasta male.
Ci sono rimasta male non certo perché
pretendevo di vincere, ma perché sono stata ignorata, perché se uno redige un regolamento,
poi è tenuto a rispettarlo.
Ci
sono rimasta male perché io lavoro e scrivere con una scadenza, per quanto mi
piaccia, occupa pur sempre tempo, e ne farei a meno se sapessi che il mio lavoro
non merita nemmeno una risposta di un rigo. Ci
sono rimasta male perché anche se siamo in Italia, mi aspettavo un po’ più di
serietà. Poiché
sull’omonimo gruppo del concorso su FB ho conosciuto molte persone deliziose
che mi hanno chiesto del mio racconto, ho deciso di postarlo qui; il tema era “un
giorno ti svegli e ti scopri diversa”, o giù di lì, non ricordo esattamente le
parole.
Beh, per
me non c’è cambiamento più grande di una ragazza che diventa donna. Questo
racconto lo dedico a tutte le donne che lo leggeranno, a quelle che come me
credono che la prima volta debba per forza essere speciale, con una persona
speciale, che indipendentemente da tutto ricorderemo per sempre.
La
prima volta
Quando
aprì gli occhi, quel mattino, non c’era una sola parte del corpo che non le
dolesse.
Le palpebre fremettero a lungo, sfidando le lame di luce che fendevano la tapparella, prima di accettare la sconfitta e schiudersi pian pianino come le ali di una farfalla assonnata. Attorno a lei non era cambiato nulla.
Nel mucchietto di vestiti che giaceva a terra, ai piedi del letto, poteva distinguere il pizzo color lavanda del reggipetto che aveva indossato la sera prima. Sul comodino, il libro che la madre le aveva regalato per il suo ultimo compleanno.
Le palpebre fremettero a lungo, sfidando le lame di luce che fendevano la tapparella, prima di accettare la sconfitta e schiudersi pian pianino come le ali di una farfalla assonnata. Attorno a lei non era cambiato nulla.
Nel mucchietto di vestiti che giaceva a terra, ai piedi del letto, poteva distinguere il pizzo color lavanda del reggipetto che aveva indossato la sera prima. Sul comodino, il libro che la madre le aveva regalato per il suo ultimo compleanno.
Sulla
scrivania, per terra, tra i mobili, ovunque oggetti familiari che raccontavano
storie, ricordi che tornavano alla mente intuendo forme appena accennate. No,
non era cambiato niente. E
invece era cambiato tutto. Si stiracchiò mollemente, tendendo i muscoli che le
facevano più male. Crogiolarsi in quel tiepido dolore era una delle cose più
piacevoli che le fossero mai successe. Era… euforizzante! Strinse più forte le
gambe, avvertendo lo stimolo a urinare. Incollate l’una all’altra dalla prima
calura estiva, le cosce sembravano non volerne sapere di schiudersi. Pelle
soda, umida e tesa, incollata dal piacere.
Quando
si recò in bagno, urtando i mobili e quasi inciampando nei vestiti sparsi sul
pavimento, dovette farsi forza per non svenire. In piedi, le gambe le
tremavano. Tornò a letto ridacchiando. Le gambe ancora strette, un sorriso
ebete stampato in faccia, crollò sul materasso umido e tirò su il lenzuolo fino
al mento. Per la prima volta dacché era successo, si concesse di ripensare alla
sera precedente. Dovette interrompersi e ricominciare più volte, riavvolgendo
il filo dei ricordi quando erano passati appena pochi secondi dall’inizio della
pellicola.
Cambiò
idea e andò a farsi un caffè. Era
una domenica di giugno, la casa era vuota, fresca e oscura. I suoi erano andati
a mare. Raggiunse la cucina sgambettando a piedi nudi sul corridoio di marmo.
Senza che ce ne fosse bisogno, si alzò sulle punte per versare il caffè
lasciato nella moka.
Il
fresco del pavimento irradiava un lungo brivido su per il corpo, guizzo gelido
che la faceva tremare in canotta e mutandine di cotone, la sua tenuta notturna
estiva.
Quel
brivido la percorreva tutta ma scansava accuratamente il Centro, il fuoco che
bolliva in profondità e non le dava tregua. S’insinuava nei pensieri, non
riusciva a controllarlo.
Improvvisamente
sentì il bisogno di andarsene, di uscire. Si sentiva piena di vita.
Voleva
correre, indossare un vestitino di cotone e fare la ruota come quando era
bambina.
Un
vestito odoroso di pulito, larghissimo, di un bianco accecante. Tessuto grezzo,
resistente. Un
attimo dopo sentiva l’insopprimibile bisogno di urlare.
Di ballare fino a perdere le forze. A gambe chiuse.
Canticchiando, improvvisando passi di danza, la tazzina che sobbalzava e il caffè a macchioline sulla canotta, era già in camera.
Di ballare fino a perdere le forze. A gambe chiuse.
Canticchiando, improvvisando passi di danza, la tazzina che sobbalzava e il caffè a macchioline sulla canotta, era già in camera.
Bevve
d’un fiato. Caffè tiepido, onde concentriche che propagavano quel lieve calore
per tutto il corpo, incendiandolo. Ecco di cosa aveva bisogno: ghiaccio!
Cubetti
duri come pietra grezza da far scivolare sulla pelle arrossata. Irritata dalla
barba, dall’acre del sudore. Pelle su pelle, saliva, pH e cellule isteriche.
Pensò di andare a prenderne nella ghiacciaia, ma l’istante dopo se n’era già
dimenticata.
Per
puro caso, aveva incrociato il suo riflesso nello specchio ovale sopra la
cassettiera. Distolse
lo sguardo. Abbassò il capo, buttò in avanti i lunghi capelli. Mise
su la musica e ballò come una pazza fino a non poterne più. Rise senza un
motivo.
Si
sentiva folle, e come tutti i folli non aveva più paura. Era invincibile. Eppure,
chissà perché, non era ancora pronta a ripensare alla sera prima.
Alcuni
ricordi andavano affrontanti con cautela, bisognava lasciar trascorrere un
decoroso intervallo di tempo. Era quello il caso. Si ributtò su materasso. In
quello stato non era in grado di far nulla. Solo ridacchiare come per uno
scherzo che conosceva solo lei. E lui. Ovviamente. Il
calore tornò, moltiplicato per mille. La pelle prendeva fuoco, le veniva da
piangere. Lacrime caldissime, che sapevano di Scirocco, di salsedine e di
sudore. Un sapore che non era suo.
Non
aveva fatto la doccia, la notte prima. Era crollata a letto serrando forte le
cosce, accoccolandosi come un riccio per portarsi le gambe vicinissime al
petto. Tante spine le pungevano il cuore, già non era più la stessa. Era
felice, ma piangeva. Non trovava pace.
Il
sonno l’aveva trascinata in un luogo in cui la consapevolezza del presente non
avrebbe potuto raggiungerla. Voleva chiudersi e aprirsi, difendersi dallo
strazio di lottare tra la voglia e il ritegno, l’involontario pudore, l’atavica
vergogna, la goffaggine dei suoi diciassette anni.
Si
chiedeva come fosse possibile, in una sola notte, allontanarsi tanto da se
stessa. C’erano
voluti anni per mettere quella stessa distanza tra l’adolescente e la bambina. La
creatura, come la chiamava la nonna. Inspirò a fondo, espirò piano.
Un
odore così estraneo non era mai stato così vicino. Pelle contro pelle. Non
avrebbe potuto lavarlo via, non con acqua e bagnoschiuma. Scacciava via le
immagini della sera prima come si scacciano i baci più pericolosi, quelli che
li dai e non sai più chi sei, non sai più che fai. Trattenne
il respiro e piano, molto piano, schiuse appena le gambe. Non le faceva più
male.
Si
sentiva indolenzita, al centro di un gorgo che attirava a sé tutte le energie,
lasciandola spossata. Per la prima volta capiva cosa volesse dire non
distinguere dolore, piacere e intontimento.
La
rivoluzione tra le gambe. Niente di più normale, a sentire la gente parlare, a
guardare la televisione. Sesso, sesso, sesso. E invece… invece era come se il
mondo fosse crollato in una notte e costruito di nuovo. Ogni cosa aveva molti
sensi, infiniti aggettivi, il prima e il dopo.
E
invece bisognava far finta di nulla, fare le cose di sempre.
Non
voleva che la prendessero per pazza. Tutte sue amiche l’avevano già fatto. Lei
aveva detto che aveva fatto sesso la prima volta un paio di anni prima, con uno
straniero conosciuto al mare. Si stupiva che non le avessero letto la menzogna
in faccia.
Solo
allora capii che anche loro dovevano aver mentito.
Il
corpo non mente. Lei non era mai stata così consapevole del proprio corpo,
prima.
Una
consapevolezza dolorosa e insieme euforizzante, che le toglieva il fiato. Ogni
volta che passava davanti a uno specchio, si scopriva a sbirciarvi furtivamente
la propria immagine, sorpresa come se guardasse una sconosciuta con le sue
stesse fattezze, familiari e al tempo stesso estranee. Inquietanti. Se i suoi
occhi incrociavano per caso quelli dell’altra, la sconosciuta, distoglieva
immediatamente lo sguardo, intimorita. Era una forma di rispetto.
E
poi la frustrazione di non sentirsi all’altezza dell’immagine. Le sembrava che
le sue goffe movenze mal si adattassero alla donna dello specchio. Non sapeva
bene come muovere i fianchi ingombranti, desiderava scoprirsi i seni e
lasciarseli accarezzare. Provava vergogna. I
pensieri svanirono quando il cellulare squillò. Le immagini della sera prima di
colpo le affollarono la mente, tutte insieme. Si scoprì a balbettare. Anche la
voce di lui tremava.
Erano
coetanei, avevano fatto le medie insieme. Più o meno una vita fa. In quella
scomoda alcova che era la macchina del padre di lui, si erano promessi l’eternità.
Protetti
dal buio, si erano sussurrati stupidi e inconfessabili segreti. E poi era
successo. Gli
intrecci di gambe avevano lasciato impronte e lividi, le mani sudate, i vestiti
stropicciati, l’amore fatto male, fatto semplice, urgente, un baratro da cui
buttarsi nell’età adulta.
Unico
paracadute, un palloncino già sgonfio che lui non sapeva come infilare. E
poi quel senso di pienezza, la sensazione che non sarai mai più sola, mai più l’unica,
l’incompresa. Il dolore che resta, il silenzio dei pensieri, lo stupore come
davanti a un miracolo. L’incastro con la metà mancante. Solo una sensazione,
una bugia che avrebbe scoperto col tempo. Quella notte non c’era fretta. C’era
solo l’urgenza di ritrovarsi, di incastrarsi di nuovo l’una nell’altro per non
sentirsi più soli. Mai più.
Prima
di prepararsi per la serata, la ragazza si guardò allo specchio e sorrise. No,
non era più lei. Ancora
bambina, quella mattina si era svegliata già donna.
Ross è un racconto meraviglioso così semplice e delicato ma molto profondo! :) tesoro mi spiace ti abbiano ignorata così non lo reputo affatto corretto!!! Non preoccupare apprezzeremo noi lettori del blog :)
RispondiEliminaTi ho trovato per caso navigando nel web, complimenti per il racconto, molto bello. Se ti va vieni a trovarmi nel mio blog, ci sono tante novità e iniziative per autori emergenti e o scrittori che cercano altra visibilità:
RispondiEliminahttp://voltarepaginaditizianacazziero.blogspot.it/ .
Un saluto
Tiziana