Chi segue Malpertuis da qualche tempo sa bene come uno dei miei interessi, accanto al perturbante in genere, sia la deriva della rappresentazione dell’atto sessuale all’interno di un’industria (il porno statunitense) che in certi suoi settori avrebbe bisogno, secondo me, di profondi ripensamenti.
Ho già discusso in precedenza di detta deriva e di come il potere intervenga a costruire desideri e pulsioni che noi supponiamo liberi, partendo proprio dall’elaborazione e costruzione, da parte del potere, del linguaggio stesso con cui noi pensiamo, elaboriamo e affermiamo quei desideri, costringendone poi la rappresentazione in modalità molto ristrette, asfittiche, ripetitive, prive di sbocco che non sia il more more more.
Oggi mi limito a rispolverare l’argomento per segnalare a tutti l’uscita di un documentario che riguarda proprio l’industria pornografica statunitense e il modo in cui la società accoglie i fuoriusciti da quest’ambito lavorativo.
Exxxit: Life after porn è un documentario di novantatré minuti scritto e diretto da Bryce Wagoner che è andato a intervistare vari professionisti dell’industria hardcore, indagando in particolare su quel che accade dopo il ritiro dalle scene.
Accorpando tali informazioni con varie altre che si possono recuperare con certa facilità in Rete, ne emerge un quadro umiliante per i singoli e desolante per quanto riguarda una società che prima sfrutta ed esalta certe persone per poi trattarle come reietti e appestati.
Uno dei punti più dibattuti all’interno della diatriba pro - e anti - porno è la libertà di scelta delle attrici, come se la scelta che una ragazza di diciotto anni che non è “obbligata” dal punto di vista fisico a firmare nessun contratto liberasse il campo da ogni ulteriore critica.
Poco importa che magari questa ragazza è consigliata dal suo partner del momento, magari più grande e manipolatore, poco importa che una consistente percentuale di queste donne provenga da infanzie e adolescenze spaventose (stupri, incesti, abusi di droga e alcol): quel che conta nella land of the free è che in quel momento hai fatto una scelta “libera”, i pornococci poi sono tuoi.
E i cocci sono tanti, pare difficile tenere intero il vaso dopo i trenta anni e per ogni personaggio straordinario quali Nina Hartley, Annie Sprinkle o Maggie Mayhem vi sono decine e decine di donne (e uomini) la cui vita dopo il porno è un calvario di ricerca dell’anonimato, fughe, ripartenze e tragedie assortite.
Con il recente calo del salario medio nel campo e la diffusione capillare di Internet cominciare una carriera nel porno pone interrogativi sempre più pressanti e importanti in particolare, com’è ovvio, alle donne.
Vorrai avere un figlio?
Vorrai tentare, dopo il porno, di lavorare in altri ambiti?
La scelta, tenendo conto di questi quesiti, sembra indirizzare sempre più verso la prostituzione (ora chiamata escorting, così come i remake sono chiamati reimagining, le parole sono importanti) che assicura retribuzioni maggiori e ricadute dell’immagine pubblica assai più gestibili, senza tanti cocci fra i piedi.
E parlando di cocci…
Jenna Jameson, irriconoscibile dopo una serie d’interventi chirurgici di discutibile qualità e scelta, ora cerca di fare la brava mamma e moglie: ha sposato Tito Ortiz, un campione di Ultimate Fighting e sembra che le lotte continuino anche fra le mura di casa, con chiamate al 911 per violenza domestica e una discussa dipendenza da oppiacei ed eroina.
Colleen Appleby si è ritirata presto dal giro, è finita a vivere nel deserto con uno spacciatore e si è sparata in testa.
Janine Lindemulder ha provato a vivere con quello che in seguito è diventato famoso come l’ex marito di Sandra Bullock, Jessie James, ma il clima non era dei più pacifici: scontri quotidiani culminati con il tentativo di metterlo sotto con l’auto.
In seguito Janine è andata a vivere con un travestito, ha perso la custodia del figlio ed è finita in prigione per evasione fiscale.
Marie Carey ha abbandonato il porno e tentato la carta del reality, Celebrity Rehab With Dr. Drew, per combattere il suo alcolismo, ma a fronte di grossi debiti è tornata nel settore ignorando i consigli del medico e anzi, scegliendo di interpretare una parodia hardcore del programma: Celebrity Pornhab With Dr. Screw.
Karen Bach, uno stupro di gruppo alle spalle (come Jenna Jameson), dopo aver lavorato a lungo (1996-2003) in quelli che lei stessa definiva “mattatoi a luce rossa”, introdotta nell’ambiente dal marito dj con il quale divorziò dopo poco tempo, si è suicidata nel 2005.
John Bobbit dopo i suoi tentativi di carriera nel porno sta affrontano una vita fatta di continui problemi con la Legge per violenze domestiche, furto e altro ancora.
Bianca Trump ora vive nello stato di Washington: dopo il porno si è messa insieme a un neonazista, si è coperta di tatuaggi ed è finita in prigione per sequestro di persona.
Harry Reems, prima di scoprire Cristo e diventare un agente immobiliare, attraversò un lungo e cupo periodo di alcolismo.
Asia Carrera, membro del Mensa, sposò un dietologo e abbandonò il porno cambiando nome, ma quando suo marito morì in un incidente stradale con lei incinta di otto mesi, dovette vivere per qualche tempo grazie a dei fondi raccolti dai fan e il Mensa (sono davvero intelligenti, questi?) l’ha costretta a evitare ogni menzione della sua precedente carriera prima di linkare il suo sito.
Houston, nota per la sua gang bang record con 620 uomini, è così abituata a pensare a sé in termini di oggetto di consumo che ha venduto parte delle sue grandi labbra, ridotte con operazione chirurica, per la somma di diecimila dollari.
Savannah, più di 100 video in quattro anni di carriera, dopo essere entrata nel mondo del porno divenne tossicodipendente, incapace di mantenere relazioni fisse e con gravi problemi finanziari: si sparò un colpo in testa una sera, dopo un incidente d’auto (causato da sua guida in stato alterato) nel quale si era sfregiata la faccia e rotta il naso.
Linda Lovelace, nota per l’interpretazione in Gola Profonda, denunciò in seguito la natura violenta di quei film e il fatto che fosse sempre drogata e semi-stuprata mentre li realizzava.
Shelly Lubben (una trentina di film con il nome d’arte di Roxy) lasciò il porno per trovare Dio, impegnandosi con la Pink Cross Foundation. Arrivare al suo dio le costò comunque otto anni di clinica per depressione e tossicodipendenza.
Dice su The Daily Beast il regista del documentario:
"We found the men stayed in the business as long as they could and were mostly OK with it," says Wagoner, an amiable Southerner and former teenage bodybuilding champion. "The women who only did it for four to five years were the most jaded and had the toughest lives afterward. Every woman we spoke to—apart from Amber Lynn, who's still going strong—had to reboot their lives at 30 and start over in some small town." Such efforts were made all the more difficult by poverty. "For one reason or another," says Wagoner, "they didn't save any money, or if they did save some money, they'd lost it through some guy..."
"A lot of these people are smart, educated, well-adjusted. They get into it simply because they can make more money, and faster than if they were training to be a nurse. But it's a Faustian pact. If you enter the business with something deeply unresolved in your psyche, it's not going to cure it. It's like [porn historian] Luke Ford says in the film: 'You want the roll in the hay, but then afterward you want to burn the sheets.'"
Solo che "bruciare le lenzuola", ai tempi di Google, è missione impossibile e ci sarà sempre qualche vicino che ti riconoscerà isolandoti dal resto del quartiere, qualche collega invidioso che potrebbe farti perdere il posto di lavoro o qualche caro amico di tuo figlio pronto a mostrargli su You Porn i video di mamma mentre lecca dello sperma dall’ano di un’altra donna. What a joke, huh?
Te ne può fregare a 20 anni, ma è "pena" impossibile da scontare, non importa quanti anni tu passi in Purgatorio.
Soluzioni facili non esistono, trattandosi di un problema complesso, e la tendenza al peggio di gran parte del porno di massa è fenomeno ben difficile da contrastare: i gonzo movie hanno un peso e un impatto centinaia di volte maggiore rispetto a un qualsiasi Abby Winters, né mi pare possibile agire tramite leggi e censure che finirebbero solo con l’esasperare certe tendenze senza risolvere nulla.
E infatti la censura, scelta povera, frutto di un pensiero dicotomico, semplificatore e inefficace, pare accomunare i peggio repubblicani con i nuovi guru della geek generation come Nazi-Steve.
La direzione da seguire, per una concezione del porno diversa, a me pare sia quella di una maggiore attenzione e curiosità verso i trend minoritari, verso alcuni dei nomi che ho citato a inizio articolo, verso, per nominare solo un operatore del settore fra i tanti degni di maggiore esposizione, il lavoro condotto da una Tristan Taormino che sull’argomento ha idee ben precise:
“For me, feminist porn is about character, choice, and consciousness. I like to collaborate with performers on how their sexuality is represented, rather than give them a script or formula to follow. I want to capture complex, three-dimensional beings rather than stereotypes, to create an open environment that's safe for everyone-especially women-to take charge of their pleasure and be able to express their desires freely. I want to represent sex as positive, fun, healthy, and adventurous. I consciously work to create images that contradict (and hopefully challenge) other porn that represents women only as objects and vehicles for male pleasure.
The lack of female pleasure in porn just sucks. I mean, if you're going to go to the trouble of sticking a girl's head in the toilet, you damn well better give her an awesome orgasm.”
Purtroppo nutro forti dubbi che un suo qualsiasi video giungerà mai a vendere anche solo un decimo di qualche produzione rumena targata Rocco Siffredi, che ficca teste femminili nel cesso, ha simpatie per la destra più becera e volgare, evade il fisco per milioni di euro e, wow, è un idolo delle masse.
Complimenti…
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