Il sogno era incredibilmente bello.
Forse era stato proprio questo – il sorriso dolcissimo di Mia, le labbra a forma di cuore sapientemente sottolineate da una lieve patina di rouge, proprio come piaceva a lui, i colori sfumati, l’eco di una risata argentina come un campanello e sullo sfondo un’estasi silenziosa, senza parole – a metterlo sull’avviso circa la natura onirica di quelle immagini. Non gli importava, voleva viverselo fino in fondo, qualsiasi cosa fosse.
La stoffa del pigiama era tesa sul sesso imbrigliato nei boxer, impaziente, scalpitante fino allo sfinimento. Sfinito, ecco come si sentiva lui: meravigliosamente, assurdamente sfinito da un piacere che montava dentro alla velocità di un missile, ritraendosi sempre un attimo prima di colpire, le membra che si accartocciavano, la pelle che fremeva e bramava.
Mia prese ad accarezzargli dolcemente l’uccello, chinandosi quel tanto che bastava a lasciargli intravedere il seno attraverso la generosa scollatura. Era vestita di nero da capo a piedi: un miniabito di lattice sottolineava le sue curve, i tacchi delle decollété di vernice svettavano verso l’alto, incredibilmente sensuali. I suoi capelli biondi, abbaglianti, gli solleticavano il pene, aumentando a dismisura il desiderio. Non protestò quando lui, cieco e sordo a tutto ciò che non fosse la sua perentoria erezione, le afferrò il capo con una mano e lo spinse giù, sempre più. Emise un gorgoglio estasiato aprendo la bocca per accoglierlo, e lui si sentì avvolto da quella carne morbida, rossa, voluttuosa come una ciliegia matura. Si spallò contro lo schienale della poltrona, preparandosi a venire mentre lei succhiava… Cielo, se succhiava bene! …
Si svegliò di colpo, sudato come un maiale. Dissoltasi nel nulla, come per magia, ogni traccia di eccitazione, il suo posto era stato preso da un’acuta sensazione di disagio, come se qualcosa non fosse al suo posto, come se ci fosse qualcosa di sbagliato, come se… Come se qualcuno lo stesse osservando, ecco!
Un brivido freddo percorse la schiena nell’attimo stesso in cui i suoi occhi, già abituati al buio soffuso della camera da letto, si guardarono intorno, guizzando rapidi come quelli di un animale braccato. Trattenne a stento un urlo, il cuore che faceva una capriola mortale, quando la vide lì, ai piedi del letto.
Lo fissava con i suoi occhi celesti, quasi trasparenti, che a volte apparivano vacui anche da sveglia. Ma ovviamente lei non era sveglia. Attese che il suo cuore si calmasse, che il respiro tornasse regolare, prima di schiarirsi la voce e iniziare a parlare.
Sommessamente, con voce lieve, cadenzata ma sicura, come gli aveva consigliato il medico.
– Tesoro… torna… torna a letto – si schiarì nuovamente la voce, che suonava stridula alle sue stesse orecchie. – È ancora troppo presto per alzarsi. –
Sua moglie non diede segno di aver capito. Per qualche secondo continuò a fissarlo come se non lo vedesse, la camicia da notte di un bianco abbagliante, appiccicata al corpo come un sudario. Era una visione fottutamente inquietante.
Deglutì piano, preparandosi a parlare ancora, quando Angela si mosse. Obbediente, raggiunse la sua sponda del letto, si stese e tirò su le coperte fino al mento. Qualche minuto dopo lo raggiunse il suo russare regolare. Tirò un sospiro di sollievo, pur sapendo che non sarebbe più riuscito a prendere sonno. Non poteva andare avanti così.
Non potevano, andare avanti così… Eppure non poteva nemmeno parlare chiaramente a sua moglie, chiedendole il divorzio. Da quando erano ricominciati gli attacchi di sonnambulismo, la situazione era precipitata, ogni speranza di slegarsi dalle catene che lo legavano alla sua infelicità si era volatilizzata. Avrebbe dovuto parlarne con Mia.
In quel momento si rese conto che il suo senso di colpa negli anni era cresciuto a dismisura, diventando più forte di tutto, anche della passione travolgente che lo portava a frequentare il letto di Mia più spesso del proprio.
Quando la voce sgraziata della segretaria fece il suo nome, ad Angela sembrò di emergere da una coltre di neve. Neve come ovatta, che le offuscava i sensi, impedendole di pensare; il che, nelle sue condizioni, era solo un bene. La donna, una bruna di mezza età con le unghie laccate di rosso e il volto liscio e lucido come la buccia di una mela, le lanciò uno sguardo malevolo.
Sotto la maschera botulinica che era la sua faccia, ad Angela sembrava di intuire tutta una serie di pensieri poco carini nei suoi confronti. Cose come “ecco che è tornata la povera pazza!”, oppure “certa gente dovrebbero rinchiuderla in manicomio!”.
Quell’ultima parolina fu la molla che la fece scattare in piedi dalla poltroncina in cui era affondata appena arrivata, facendosi scudo con un settimanale per impedire agli sguardi altrui di raggiungerla, e sgattaiolare a testa bassa nell’ambulatorio. Suo marito le avrebbe dato della paranoica, se le avesse confidato quanto si fosse sentita a disagio in quella sala d’aspetto sovraffollata, con tutti i pazienti che la fissavano, fingendo invece di fare altro.
Dovevano aver intuito i suoi problemi… Sennò perché fissarla così?
Il dottor Gelli sedeva immobile alla scrivania, le braccia incrociate e un sorriso di benvenuto sul volto rubicondo, che immancabilmente le faceva pensare a un bovino.
Un bovino ben pasciuto, su cui le nevrosi dei pazienti non lasciavano alcuna traccia.
– Buonasera, signora Ferraris. Allora, come va? – esordì, inforcando un paio di occhiali di corno e scartabellando lo schedario alla ricerca della sua cartella. – Al telefono mi ha riferito che suo marito ieri notte si è svegliato e l’ha trovata in piedi, accanto a letto. Ricorda qualcosa? –
Angela scosse la testa.
– Dalla sua cartella clinica non risultano episodi isolati, per cui è probabile che l’episodio di questa notte sia l’inizio di una nuova serie di attacchi di sonnambulismo – proseguì il dottore, con voce grave, professionale.
Il suo sguardo accigliato la colpì in pieno viso, penetrando i suoi occhi come se volesse raggiungere i suoi pensieri, il nucleo primordiale della sua follia.
Si affrettò a distogliere lo sguardo, a disagio.
– Ha qualche preoccupazione, ultimamente? –
Vedendo che non rispondeva, il dottore ripeté la domanda, allungandosi leggermente lungo la scrivania.
– C’è qualcosa che non va, signora Ferraris? In tal caso è più che mai importante che ne parli – insisté.
Accorgendosi che la donna istintivamente serrava le braccia contro il petto, decise di andare fino in fondo.
– Forse si tratta di suo marito? – azzardò. – Ha ripreso a tradirla? -
Se era una reazione che voleva ottenere, aveva centrato in pieno il suo obiettivo.
Angela sobbalzò sulla sedia, piantando due occhi gelidi e vitrei su di lui.
Scosse la testa un paio di volte, con veemenza.
– Certo che no! Nella maniera più assoluta! – protestò, fissando un punto imprecisato sulla parete alle spalle del dottore.
– Lui mi ama. Il nostro è un rapporto stupendo. – aggiunse con convinzione.
Il dottor Gelli la guardava, imperscrutabile. Era tornato a spallarsi contro la sedia imbottita, di quelle girevoli. Ne aveva una così anche suo padre, ricordò Angela distrattamente. Suo padre faceva l’avvocato. Di tanto in tanto lei andava a trovarlo in studio e si divertiva a girare come una trottola sulla sedia del suo ufficio. Era così divertente, così… Comoda?
Si accigliò leggermente. Ricordava la segretaria di suo padre, Nadia, come si arrabbiava quando entrava e la sorprendeva a catapultarsi da una parte all’altra della stanza a velocità supersonica. Nadia era così… Sgradevole. Era troppo di tutto: troppo riccia, troppo bionda, troppo truccata e sfacciata. Com’è che la definiva sua madre? Eccessiva, sì.
Eppure era un altro il motivo per cui la odiava. Sua madre sapeva. Tutti, in ufficio, sapevano. Eppure lei era la sola ad averli visti… Avvinghiati, spiaccicati come due serpi proprio su quella poltrona, la testolina bionda di lei leziosamente rovesciata su quelle spalle brune da rugbista.
Suo padre, infatti, da giovane era stato giocatore di rugby.
– Signora Ferraris? – La voce del dottore sembrava provenire da molto lontano. – Ha capito ciò che le ho detto? –
– Certo – annuì lei, con voce inespressiva.
Non aveva udito una sola parola. Doveva andarsene subito, se voleva avere il tempo di preparare ogni cosa per la sorpresa di quella sera. Marco sarebbe rimasto a bocca aperta!
Finalmente il dottor Gelli si alzò per congedarla.
– Mi raccomando – le disse sulla porta, fissandola un’ultima volta con quei suoi occhietti penetranti, così fastidiosi. – Mi faccia sapere se succede qualcosa, qualsiasi cosa, che la turba… Soprattutto ciò che non ricorda, ciò cha in qualche modo la sua mente cerca di rimuovere. –
Si strinsero superficialmente la mano, poi Angela scappò via alla velocità della luce da quello studio claustrofobico, con una sale d’aspetto puntellata di occhietti avidi, famelici, le cui pareti si restringevano sempre più, oblique, minacciando di finirle addosso.
Tagliò i porri a listarelle, mettendoli a soffriggere insieme all’olio e un pezzo di burro. Aspettò qualche secondo, osservando ipnotizzata l’olio dorato che crepitava, speranzoso, poi prese i gamberetti dal freezer e li versò in padella. Coprì la pentola, che ormai faceva un rumore assordante, mentre la cucina si riempiva di deliziosi effluvi.
Diede un’occhiata all’orologio sulla parete: erano già le sette, doveva correre a preparasi.
In camera, indossò un paio di autoreggenti nere, velatissime, che assecondavano alla perfezione i gusti di suo marito. Appena sposati, quando ancora a letto facevano scintille, lui gliene regalava di continuo, come a risarcirla di tutte quelle che le strappava di dosso nell’impeto della passione. Trattenne il fiato per allacciare sulla schiena un bustino rigido, aderente, che aveva preso di una taglia inferiore, proprio perché le strizzasse il seno, mettendolo in risalto. Marco si meritava ancora la bella pollastrella che aveva sposato, a dispetto degli anni che erano passati e delle gravidanze non andate a buon fine, e lei non poteva certo rischiare di perderlo per quelle dannatissime crisi di sonnambulismo, che sfuggivano perfino al suo controllo.
E pensare che, nella sua vita, lei aveva sempre avuto il controllo su ogni cosa!
Ogni dettaglio, ogni minuzia veniva notata e corretta, e quando suo marito aveva ospiti importanti per cena, lei era la padrona di casa perfetta, che serviva cene perfette in un ambiente perfetto. Si chinò che soffiare via il leggero strato di cipria che si era posato sul comò, e nel farlo sentì una fitta percorrerle lo stomaco.
Cielo, se era stretto, quel dannatissimo bustino!
Seduti l’uno di fronte all’altra, mangiavano in silenzio, sfuggendo i rispettivi sguardi.
Dopo il dessert, Marco si schiarì la voce, imbarazzato.
– Era tutto buonissimo, tesoro – disse.
Lei si decise a guardarlo davvero per la prima volta dacché era rientrato, trovandosi davanti la tavola apparecchiata a lume di candela e sua moglie strizzata in un miniabito di due taglie più piccolo, come un tacchino la Vigilia di Natale.
– Ma come diavolo ti sei conciata?! – aveva esclamato, a bocca aperta, un attimo prima di rendersi conto che era cosa più sbagliata da dire.
Angela però non aveva replicato, e, se c’era rimasta male, non l’aveva dato a vedere.
Si era limitata a scrollare le spalle e a fargli segno di seguirla a tavola. Lì, piatto dopo piatto, gli aveva servito una cena degna del matrimonio di un re, e lui aveva mangiato tutto, fino all’ultima briciola, non osando fare altrimenti.
Ora si rendeva conto che aveva esagerato. Aveva la fronte imperlata di sudore, e sentiva che se non si fosse alzato in quell’istante, avrebbe anche potuto vomitare.
Si mise in piedi a fatica, pulendosi accuratamente le labbra col tovagliolo di lino.
– Ora devo proprio andare – balbettò, incerto, sentendosi vagamente in colpa. – Lo sai, il mercoledì ci vediamo con gli amici per il poker… Mi staranno aspettando già da un pezzo. –
Non si era certo aspettato una scenata – suo moglie non gliene aveva mai fatte – ma nemmeno la reazione che seguì. Angela si alzò, iniziò a sparecchiare in silenzio, e, sulla soglia del cucinino, si voltò per lanciargli un dolcissimo sorriso.
Il suo senso di colpa schizzò a livelli esagerati, facendolo sentire un’autentica merda.
– Vai pure, tesoro. Buona serata! – gli disse, prima di sparire oltre la soglia.
Quando tornò a casa, all’orizzonte baluginavano già le prime striature dell’alba.
Non avrebbe voluto fare così tardi, ma staccarsi da Mia era ogni volta più difficile. Ormai era innamorato pazzo, inutile mentire a se stesso. Che non era solo sesso, l’aveva capito fin dalla prima volta che se l’era portata a letto, un anno prima; ma non avrebbe mai immaginato di sentirsi coinvolto fino a quel punto. Sulla pelle sentiva ancore l’odore di lei, il sapore dei baci stampato sulla pelle umida, e decise deliberatamente di non fare la doccia prima di andare a letto.
Voleva sentirla più a lungo possibile, anche se questo significava mettere nuovamente la pulce nell’orecchio di Angela. In fondo era quello che voleva… Forse, se l’avesse capito da sola, sarebbe stato meno traumatico per lei sentirselo dire. Perché avrebbe dovuto dirglielo al più presto, che voleva lasciarla per andare a vivere con Mia.
Sospirò piano, svestendosi al buio per non svegliare sua moglie.
Mentre tratteneva il respiro per cercare di udire quello regolare di lei, si chiese perché mai aveva sposato quella creatura gelida e ottusa, che non vedeva la realtà nemmeno se ce l’aveva sotto gli occhi. Viveva nel suo mondo, e scambiava per reale solo ciò che in qualche modo assecondava le sue stramberie.
Scosse la testa, stendendosi piano, per non far cigolare le molle del vecchio materasso.
Allora si rese conto che c’era qualcosa di strano. Il silenzio intorno a lui era troppo denso, ininterrotto. Come se lui fosse l’unico, quella stanza, a respirare. A dormire…
Un brivido lo scosse da capo a piedi. Tese la mano, tastò il materasso accanto a lui. Vuoto.
Fece per alzarsi, ma due mani di ghiaccio gli si strinsero intorno al collo, impedendogli di muoversi. Continuarono a stringere, fino a farlo boccheggiare.
In quel momento, un angolino remoto della sua mente, una vocina gli ricordò quello che aveva letto anni prima su un libro: che la pazzia dona una forza sovraumana…
Seppe che stava per morire un secondo prima che il nero lo inghiottisse per sempre.
Io adoro il noir e adoro l'erotico fatto bene. Mi piace molto il racconto, poi magari in separata sede ne parliamo perchè non mi piace fare il prof. ma mi piace avere dei dialoghi. L'unica cosa...se erotico dev'essere erotico sia...fino in fondo. Almeno secondo il mio personale gusto.
RispondiEliminaJohnny Begood
Il racconto è indubbiamente interessante, anche il finale. Scorre bene, e si fa certamente leggere. Unico rilievo negativo: nella prima parte, proprio per caricare il sogno in maniera più acuta,avrei evitato termini come "uccello" e "succhiava", troppo "terragni" con altri, più allusivi, fantasiosi. Il lettore avrebbe capito, no? Ma è una mia opinione. Giacomo V.
RispondiEliminaSono venuta a leggerti, bel racconto , a me piacciono i toni forti della prima parte nel sogno...=)
RispondiEliminaGrazie mille Giacomo, soprattutto per la critica, perché mi sa proprio che hai ragione :-)!
RispondiEliminaMille grazie anche a te, Circe, sei gentilissima... Se ti piacciono le tinte forti leggiti anche "Bellezza perduta", è uno degli e-book gratuiti qui accanto :-)
Johnny ti rispondo alla mail su FB!
Grazie del consiglio, l'ho letto e tornero' a leggerne altri...una sorta d Doran Gray al femmninile e rovesciata allo specchio, buona la suspense... ciao a presto rileggerti =)
RispondiEliminaBuongiorno,
RispondiEliminavorrei soffermarmi per un attimo sull'incipit del racconto; credo che per uno scrittore o per una scrittrice scrivere un racconto erotico o una pagina che abbia a che fare con l'erotismo sia la cosa più difficile, perchè si rischia di cadere inevitabilmente nella pornografia: e la pornografia non è erotismo. E' un pò come scrivere una poesia d'amore per il poeta: se non si è attrezzati, si cade inevitabilmente in un sentimentalismo mieloso e appiccicaticcio.
L'autrice di questo racconto ci mette tutta la sua buona volontà....ma quella Mia che succhia l'uccello è un'immagine che va oltre la pornografia e non ha nulla a che vedere con l'erotismo. E' molto difficile scrivere di erotismo, dopo il celebre "Fanny Hill, memorie di una donna di piacere" scritto da Jon Cleland o dopo il romanzo scritto da D. Lawrence "L'amante di laddy chatterley".
Con affetto
Dario