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domenica 6 marzo 2011

Io non soffro per amore - Lucia Etxebarria

Lo vidi per caso in offerta alla Feltrinelli proprio il giorno in cui chiamai il mio ex per chiedergli spiegazioni dopo due settimane di silenzio. Lo interpretai come un segno e lo comprai, sebbene diffidassi di quel titolo che faceva tanto “manuale-idiota-per-novelle-bridget-jones”. Invece è tutt’altro. 
Certo è scritto con brio, humor e leggerezza, tuttavia affronta temi seri e interessantissimi, per lo più inerenti alla psicologia e alla sociologia: da Freud e i suoi complessi di Edipo&Elettra alla teoria dell’attaccamento di Bowlby, dal “mito della bellezza” di Naomi Wolf  a un’analisi estremamente lucida e disincantata dei modelli comportamentali proposti da telefilm, soap e quant’altro entri nelle nostre case attraverso la tv e gli altri media. 
Un libro estremamente interessante che tratta di amore in modo realistico, lontano anni luce dagli stereotipi e dalle melensaggini cui siamo abituate; un’autrice competente e diretta, che parla all’intelligenza e al buon senso delle donne, offrendo loro un’unica grande certezza, da non smarrire mai: SE UNA RELAZIONE NON TI RENDE FELICE, ALLORA NON TI SERVE. Punto.

Riporto alcuni brani del capitolo in cui si parla di violenza morale e psicologica. 
Sono parole che mi hanno raggelata e impaurita non appena le ho lette la prima volta; ci è voluto tutto il mio coraggio per identificarci la mia esperienza e darle finalmente un nome, per vedere chiaramente quello che per mesi non sono riuscita a comprendere né a spiegare a nessuno, tanto meno a me stessa. Intuivo che qualcosa non andava, ma questo certo non serviva a farmi stare meglio né a cambiare la situazione. Non sempre un uomo con gravi problemi psicologici e relazionali - sia egli padre, fidanzato o marito - usa la violenza fisica per imporsi sulla sua donna; sempre più spesso, soprattutto quando si tratta di uomini civili, dotati di una certa cultura e di buone maniere, si fa ricorso a una forma di violenza più sottile, subdola e spesse volte invisibile. Ma non per questo meno pericolosa. 
Anzi, forse lo è ancora di più, perché si tratta di un nemico invisibile, mascherato di normalità, che la donna abusata, sempre più insicura e confusa, fa fatica a riconoscere. 
E le conseguenze spesso sono devastanti.

***

 Violenza morale o psicologica

La maggior parte delle volte neanche le vittime realizzano di subire un maltrattamento. Per questo motivo il maltrattatore cerca di fare in modo che chi le circonda cominci a dubitare delle loro impressioni, dei loro ragionamenti e persino della realtà delle loro azioni.Convincere una persona che la sua percezione della realtà, dei fatti e dei rapporti personali è sbagliata e ingannevole, è assai facile. Bisogna negare che sia mai successo quello che invece è accaduto e a cui si è presenziato; basta convincerla che, invece, ha detto o fatto qualcosa che non ha né detto né fatto; accusarla di aver dimenticato quanto realmente è accaduto, di inventare problemi  per poi soccombere ai sospetti, di interpretare sempre in modo errato, di deformare le parole e le intenzioni, di non avere mai ragione, di immaginare nemici e fantasmi inesistenti. Per chi è nella posizione della vittima è difficile accorgersi della violenza subita, perché in certe situazioni si sviluppano meccanismi psicologici per non vedere la realtà, quando questa risulta troppo sgradevole. Il fatto di accettare di essere vittime di una situazione di maltrattamento psicologico, probabilmente da parte di una persona che si stima, comporta un enorme carico di ansia che non è facile metabolizzare. È difficile accettare che qualcuno che dovrebbe amarti ti usi violenza. E dal momento che la vittima non ne capisce i motivi, diventa insicura, irritabile, aggressiva e persino violenta. È come il gatto che si morde la coda, perché attribuisce la colpa dell’ansia che prova non al maltrattatore, ma alla propria sensibilità o eccessiva suscettibilità. E il maltrattatore in questione alimenta questo dubbio scrollandosi di dosso le proprie responsabilità e accusando la vittima di essere pazza, isterica, depressa o paranoica. Caratteristica della violenza perversa, infatti, è la capacità di gettare l’altro nella confusione, facendogli perdere i punti di riferimento, finché non sia più in grado di distinguere ciò che è normale da ciò che non lo è.

(….)

Questi maltrattatori negano l’aggressione, condiscono le loro frasi di humor, di ironia, di commenti apparentemente innocenti che vanno dritti ai punti deboli della donna e l’affossano lentamente. Se la vittima si lamenta, si sente dire una cosa che l’abbatte ancora di più: “Scherzavo tesoro, non devi prendertela tanto”, frasi che insinuano il sospetto che lei sia un’instabile pronta ad offendersi al minimo pretesto o una sciocca completamente priva di ironia. L’aggressore nega l’aggressione; il problema, dunque, viene scaricato tutto sulla vittima. La psichiatra definisce questa violenza come “perversa”, una vera e propria distruzione, molto insidiosa perché indiretta. La persona viene fatta a pezzi, in maniera costante e ripetuta, attraverso gesti e parole di disprezzo, umiliazione e discredito,.  L’aggressore scarica sugli altri le proprie frustrazioni, evitando così ogni responsabilità e conflitto interiore. E umilia chi ha vicino. L’obiettivo, dunque, è l’occultamento della propria incompetenza e debolezza. L’aggressore non perde mai e staffe e non alza mai la voce; parla sempre con lo stesso tono piatto, manifesta una fredda ostilità che è pronto a negare quando si allude ad essa. La causa del problema non è evidente, l’aggressore si rifiuta di parlare di ciò che non funziona; questo rifiuto paralizza la vittima e le impedisce di trovare una soluzione. Tutto quello che quest’ultima può dire viene sistematicamente deformato per poterla trovare sempre in fallo: viene disprezzata e umiliata. Lui la prende in giro, ma i modo sottile, così che i possibili testimoni avvertano solo un vago sentore d’ironia.

(…)

L’abuso psicologico si realizza attraverso affermazioni terse a svilire, minacce velate, critiche e derisioni indirizzate all’aspetto fisico della donna, alle sue iniziative e alla sua personalità, accuse e via dicendo, il tutto nascosto sotto atteggiamenti affettuosi volti a disorientare la partner perché, evidentemente, è difficile diffidare di qualcuno che ti da della grassona per tutto il tempo ma poi sostiene di non poter vivere senza di te e che quando ti prende di mira lo fa solo per scherzare e che sei tu che te la rendi sempre a male, accidenti piccola, quanto sei suscettibile, cavolo.

(…)

L’aggressore è solo un essere mediocre, consapevole del proprio grigiore, con un’assoluta mancanza di rigore morale e un disturbo serio dell’identità che si traduce nell’invidia verso il partner, che viene percepito, o ritenuto con certezza, superiore. E dunque per compensare il senso d’inferiorità, l’insoddisfazione occulta ma profonda, cerca di guadagnare potere sul partner per scavalcarlo.

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