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lunedì 18 luglio 2011

Irène Némirovsky - Il vino della solitudine


Il vino della solitudine
Irène Némirovsky
Adelphi, 2011
pp. 245
ISBN: 9788845925665
Letteratura francese
Traduzione: Laura Frausin Guarino






Trama:
Il vino della solitudine è il più autobiografico e il più personale dei grandi romanzi di Irène Némirovsky: la quale, pochi giorni prima di essere arrestata, stilando l'elenco delle sue opere sul retro del quaderno di Suite francese, accanto a questo titolo scriveva: «Di Irène Némirovsky per Irène Némirovsky». 
Non sarà difficile, in effetti, riconoscere nella piccola Hélène, che siede a tavola dritta e composta per evitare gli aspri rimproveri della madre, la stessa Irène; e nella bella donna che a cena sfoglia le riviste di moda appena arrivate da Parigi in quella noiosa cittadina dell'impero russo – e trascura una figlia poco amata per il giovane cugino, oggetto invece di una furente passione – quella Fanny Némirovsky che ha fatto dell'infanzia di Irène un deserto senza amore. 
Hélène detesta la madre con tutte le sue forze (e si sente morire all'idea di dover posare la bocca su quella guancia che vorrebbe «lacerare con le unghie»), al punto da sostituirne il nome, nelle preghiere serali, con quello dell'amata istitutrice, «con una vaga speranza omicida». 
Verrà un giorno, però, in cui la madre comincerà a invecchiare, e Hélène avrà diciott'anni: accadrà a Parigi, dove la famiglia si è stabilita dopo la guerra e la rivoluzione di ottobre e la fuga attraverso le vaste pianure gelate della Russia e della Finlandia, durante la quale l'adolescente ha avuto per la prima volta «la consapevolezza del suo potere di donna». 
Allora sembrerà giunto alfine per lei il momento della vendetta: «Ti farò piangere come tu hai fatto piangere me!». 
Ma Hélène non è sua madre – e forse sceglierà una strada diversa: quella di una solitudine «aspra e inebriante». Da un'infanzia infelice, diceva Irène Némirovsky, non si guarisce mai: pochi hanno saputo raccontare quell'infelicità come ha fatto lei.

La mia recensione
Appena uscito per Adelphi, Il vino della solitudine di Irène Némirovsky è probabilmente il più bello – oltre che il più autobiografico – dei libri della scrittrice ucraina, naturalizzata francese. 
La storia della piccola e originale Hélène, infatti, ricalca in maniera pressoché perfetta l’adolescenza di Irène, nata in una ricca famiglia dell’alta borghesia ebrea: come il padre di Hélène, anche suo padre era un banchiere dedito ad affari non sempre limpidi e completamente in balia della sua passione per il gioco d’azzardo, amatissimo dalla figlia ma del tutto incapace di mostrarle affetto. 
Per lui, la bambina era né più né meno che una bestiolina domestica, cui riservare quell’affetto semplice e indifferente che non può in alcun modo far fronte ai bisogni emotivi di una ragazzina che si va facendo donna. 
E che dire poi della madre di Hèlene, Bella, ritratto fedele di quella Fanny Némirowsky odiata e temuta, una donna che secondo la scrittrice non sarebbe mai dovuta diventare madre, perché completamente priva del più elementare istinto materno... (continua a leggere su La bottega di Hamlin)

La riscoperta di una scrittrice che fa rivivere un'epoca
Famosissima nei primi decenni del Novecento, dopo il secondo conflitto mondiale Irène Némirovsky fu completamente dimenticata sia dalla Francia – nazione in un cui trascorse gran parte della sua esistenza, che l’aveva celebrata come la sua più grande scrittrice – che dal resto del mondo. 
Irène Némirovsky
Una Francia crudele, che non mostrò alcuna solidarietà per il suo destino di deportata (la Némirovsky, infatti, morì di tifo ad Auschwitz) né per quello di tanti altri ebrei francesi, e che dopo la guerra rimosse ogni ricordo assieme all’insostenibile orrore della guerra.
Nata a Kiev nel 1903 in una famiglia appartenente all’alta borghesia finanziaria (suo padre era un banchiere ebreo), durante l’infanzia Irène riceve un’educazione classica e pochissimo affetto sia da parte della madre – quella Fanny Némirovsky bella e egocentrica, dedita esclusivamente ai divertimenti mondani e agli amanti, che tornerà spessissimo nella produzione letteraria della scrittrice – che da parte del padre, completamente preso dai suoi affari e succube del gioco d’azzardo. Dopo la rivoluzione bolscevica... (continua a leggere lo speciale su SulRomanzo)

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